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9 DOMANDE COME GLI INNING DELLA NOSTRA PASSIONE. Intervista a Stefano Lesti

5 Mag , 2020  

di Ignazio Gori

Il Bar del Baseball è proiettato al futuro ma non dimentica, anzi, promuove il passato, la storia del nostro baseball. Accogliamo con entusiasmo dunque l’iniziativa dello scrittore e giornalista Stefano Lesti, nonché responsabile della comunicazione della SS Lazio Baseball&Softball, di tributare la figura storica del grande Giulio Glorioso.

Stefano, come e quando ti sei avvicinato al baseball? E’ stato casuale o è una tua passione da sempre?

S.L. Mi sono avvicinato, anzi sono entrato direttamente nel mondo del baseball passando, invitato, dalla porta principale, a seguito di un progetto culturale che risale a quattro anni, presentato alla S.S. Lazio Baseball, Softball & Lacrosse 1949. La mia compagna, Rosanna, è la figlia di Roberto Marin, un campione della primissima nazionale azzurra di baseball, quella che nel 1954 vinse la Coppa Europa, e della Lazio, oltre che per un anno del Coca Cola Roma e del Nettuno, dove vinse due scudetti dopo quelli già conquistati dalle Aquile del diamante nel 1949 e nel 1955. Fu lei a parlarmi di suo padre, che dal 2001 è purtroppo passato a miglior vita. Una storia non solo sportiva ma soprattutto umana che ebbi modo di approfondire nel 2016, quando insieme a Corrado Croce, un drammaturgo mio amico e mentore, cominciai a scrivere una sceneggiatura teatrale. Nell’estate di quello stesso anno andai a presentare il mio progetto alla Lazio Baseball e conobbi Giuseppe Sesto, che dal 2012 ne è il presidente. Quell’anno la Lazio avrebbe disputato i Playoff del campionato di Serie C e battendo il Torre Pedrera avrebbe potuto accedere alla Serie B, da dove mancava dal 2001.    Sesto mi propose di accettare il ruolo di responsabile della comunicazione della prima società di baseball importante fondata nella Capitale ed io accettai. A Settembre la Lazio sconfisse il Torre Pedrera e vincemmo il campionato. Portai fortuna e la Lazio portò fortuna a me. Quello con Sesto risultò un incontro fatale, in qualche modo predestinato dal Cielo, forse dallo stesso Giulio Glorioso che dal 2015 ci ha lasciati per raggiungere anche lui il Paradiso dove riposano le Aquile, oltre che Roberto Marin e altri ex giocatori che non ci sono più. Di comune accordo col presidente Sesto decidemmo di rinviare il progetto teatrale più avanti nel tempo e contestualmente durante la pausa invernale cominciai a lavorare insieme a Croce su un secondo progetto riguardante questa volta la stesura di un romanzo. Studiando, facendo ricerche e frequentando la società e i nostri ragazzi, mi sono appassionato al batti e corri e alla sua storia e contestualmente al nostro leggendario Mr. Baseball, Giulio Glorioso. Prima del 2016, avevo però sempre guardato i film sul baseball. Quello che più di tutti mi colpiva e mi è sempre piaciuto era ed è il principio sul quale questo bellissimo gioco si fonda: uno solo contro una squadra di nove avversari e contrariamente una squadra di nove compagni contro un solo avversario. Un po’ come la vita, quando spesso ci mette a confronto con le difficoltà, il baseball ti insegna a reagire, a giocartela sempre fino all’ultimo inning, facendo riferimento oltre che su te stesso, sui tuoi amici, sulla tua famiglia, sulla tua forza interiore, unita alle forze di chi ti vuole bene, di cui ti fidi, di coloro a cui sei legato da legami affettivi.

Quindi la conoscenza di Glorioso è avvenuta contemporaneamente alla tua entrata nel mondo del baseball …

S.L. Purtroppo sono entrato alla Lazio un anno dopo la sua morte e dunque l’ho conosciuto soltanto di fama e dalle mie ricerche, oltre che dai racconti di chi lo ha conosciuto personalmente, come il presidente generale della Lazio, il dott. Antonio Buccioni, il presidente Sesto, la mia compagna Rosanna e sua nipote, Mara Fux, che ebbi modo di intervistare facendole raccontare del suo mitico zio. Ma anche dalle testimonianze dirette di ex giocatori che insieme a lui hanno scritto la storia del batti e corri biancoceleste e italiano, dunque europeo e mondiale, come Giuseppe Fiore, scudettato con la Lazio nel 1955. Senza poi citare l’archivio storico di Roberto Buganè, altra anima pia che ci ha lasciati tre anni fa dopo una vita intera dedicata al baseball e alla conservazione e diffusione della sua storia nel nostro Paese. Una storia che anche io ho voluto onorare e raccontare.

Quale è la chicca più gustosa che hai scoperto sulla vita e carriera di Glorioso?

S.L. Su tutte le altre, relative a settant’anni di carriera e di amore infinito per il nostro sport, ce ne sono due in particolare. La seconda riguarda la querelle tra Giulio e la Fibs che nel 1984 portò alle dimissioni di Bruno Beneck, il quale nel 1967/68 era stato anche presidente della Lazio. Una contesa sorta su spinta di Glorioso in base a temi di principio e lungimiranza che all’epoca riteneva essere gravi mancanze di rispetto per i giocatori italiani della nazionale. Per ovvi motivi non te ne parlo in questa sede e invito chi volesse approfondire l’argomento a leggere il romanzo “Il Glorioso” di prossima uscita. La prima invece, è una storia che lega Giulio, e quindi la Lazio, alla storia non solo del baseball ma anche del softball nazionale. Glorioso cominciò a giocare come tutti i grandi del passato non a baseball, bensì a softball. Nel 1947, dopo un anno trascorso tra le fila del Gilda (1946), vinse il campionato di softball con il Softball Club Edera, col quale vinse la Coppa America nel 1949. Era l’anno in cui la Baseball Club Lazio aveva vinto lo scudetto della Lega Centrosud della Fipab. Quello del Nord fu vinto invece da Firenze. Fu al S.C. Edera che conobbe il grandissime Romano Lachi, Sandulli e altri campioni che poi nel 1950, approdarono alla neonata Lazio, passando dal G.S. Ferrovieri, che nel 1952 entrò ufficialmente alla Società Sportiva Lazio. Fu la nona sezione in ordine cronologico ad entrare a far parte dell’universo biancoceleste che oggi conta 77 sezioni impegnate in oltre 85 diverse discipline. All’Edera, Glorioso aveva conosciuto anche Giuseppe Ridarelli, che divenne presidente della Lazio Baseball tra il ’52 e il ’54 e in seguito dal 1957 al ’65, nel periodo in cui avevamo sospeso l’attività sportiva per dissensi con la Fibs. Anche questa storia l’abbiamo approfondita nel libro. A tal proposito sfatiamo il falso mito che Glorioso abbia giocato con la Lazio anche nel 1949: entrò da noi soltanto nel 1950.

Beh, questa è una precisazione importante, molte fonti infatti lo indicano nella squadra del 1949 che vinse il campionato. Nella vita di Glorioso ci sono periodi misteriosi, avventurosi, quasi romanzeschi … è vero ad esempio che andò in America a provare con i Cleveland Indians? Cosa successe?

S.L. Si, è storia. Nel 1953 Glorioso andò per qualche mese negli States. Partecipò a un “clinic” organizzato dagli Indians. I suoi ex compagni, che ho intervistato in più occasioni, mi hanno detto che era andato su invito dei suoi amici ed estimatori americani per affinare la pratica del lancio.

E’ vero  – sembra un racconto di Pavese – che fu il lanciatore Romano Lachi a iniziarlo al baseball, una sera romana di un anno imprecisato (immediato dopoguerra), su Ponte Milvio?

S.L. Non posso confermarlo ma nemmeno escluderlo, perchè come già detto i due campioni avevano giocato assieme fin dal 1947 all’Edera, seppur a softball. Anche se la grinta, la forza e la determinazione in campo l’apprese sicuramente da Roberto Marin, che più grande di Giulio di due anni era già un veterano quando i due si conobbero e diventarono amici di una vita intera. Marin, campione nel 1949 con la B.C. Lazio e poi con Glorioso anche nel ’55, oltre che d’Europa nel 54 con la nazionale, proveniva dall’Eolo, un’altra squadra di softball che dopo lo scioglimento nel 1948 dotò la Lazio di campioni quali Natalino Rodda, Bernini, G. Lucarelli, Russo e Muran.

Grande lanciatore, leader All-time in Italia per “K” e Vittorie, ma anche abile al box. Glorioso ha vinto anche 4 scudetti con 4 squadre diverse. Secondo te meriterebbe una candidatura alla Hall of Fame di Cooperstown? (ci sono delle dispense che permettono di candidare anche stranieri)

 S.L. Senz’altro. Del resto è già presente nella Hall of Fame della Fibs e non inserirlo sarebbe un torto che certo non merita. Chissà se, con la forte spinta derivante dai nostri libri a lui dedicati, qualcosa non si possa smuovere…

È anche il nostro augurio Stefano … Riguardo queste tue iniziative culturali, il baseball è stato portato di recente a teatro da Mario Mascitelli (del Teatro del Cerchio di Parma) che ha scelto come eroe da raccontare il grandissimo Lou Gehrig (“L’ultima partita. La storia di Lou Gehrig”) … e poi baseball e letteratura, altro grande florido connubio. Ci sono a tal proposito opere che ami e che in qualche modo ti hanno entusiasmato? Si era sentito per esempio di un progetto teatrale e cinematografico di Paco Ignacio Taibo II su un altro grandissimo pitcher, Fernando Valenzuela …  

S.L. L’arte, lo sport e la letteratura sono a mio avviso dei binomi inscindibili: l’uno compenetrato all’altro. Tuttavia portare lo sport a teatro non è facile per nessuno ed è senz’altro una sfida. In Italia poi, sarebbe difficile anche parlando di calcio, quindi figuriamoci parlando di uno sport meno popolare come il nostro, che ahinoi, versa anche in un periodo di difficoltà. Credo altresì che come autori si debba procedere contestualizzando il racconto sportivo, intrecciandolo con racconti di vita, della vita di tutti i giorni che bella e brutta, leggera o pesante, deve necessariamente far sentire il pubblico coinvolto. Insomma, scrivendo e producendo storie che siano in grado di far rispecchiare le vite personali degli spettatori e dei lettori, a prescindere se siano o meno appassionati di sport. In buona sostanza, la regola aurea è che se tratti d’amore tutti saranno coinvolti, mentre se parli di uno sport lo potranno apprezzare e comprendere soltanto quelli che ci giocano o lo hanno praticato da ragazzi. È per queste ragioni che tra i film che parlano di baseball e sport sono rimasto molto colpito da “42” (di Brian Helgeland, 2013) la storia della vita sportiva di Jackie Robinson, il primo giocatore di baseball di colore ad essere entrato nella Major League nel 1947, partendo dalle Negro Leagues e dalle minors per poi essere ingaggiato dai Brooklyn Dodgers e dal geniale intuito di Branch Rickey. La storia di un riscatto sociale avvenuto tramite lo sport: un esempio che al giorno d’oggi mi sembra tornato ad essere di grandissima attualità. Dei film sul baseball ne abbiamo parlato anche ne Il Glorioso: il giusto tributo a chi ha saputo raccontare al mondo intero la sua passione per il nostro sport, dunque per la vita.

Giulio Glorioso è stato senz’altro uno degli eroi del passaggio di un epoca del baseball italiano. Cosa ne pensi?

S.L. Credo che più che un eroe di passaggio sia stato lui stesso il locomotore che dal 1950 in poi – fino alla metà degli anni Ottanta, quando era ancora possibile – a rendere il nostro sport sempre più popolare e a mantenerlo, dopo il calcio, secondo soltanto a poche altre discipline. E non mi sembra una cosa da poco data la tradizionale scarsità di sponsor e investimenti…

Vero … Per ultimo Stefano, vorrei chiederti un “epitaffio” sul baseball romano, visto che da anni tutto sembra come morto, almeno a un certo livello. Cosa avrebbe detto in questo caso il Glorioso?

S.L. Giulio avrebbe senz’altro citato Sallustio: “NESSUNA COSA AL MONDO MAGGIOR DI ROMA”, oppure avrebbe proclamato il motto storico della S.S. Lazio: “CONCORDIA PARVAE RES CRESCUNT”.

Il Bar del Baseball ringrazia Stefano Lesti, augurandosi che il suo “Glorioso” possa avere successo a teatro e in libreria.

 

(Le foto sono state gentilmente concesse dal sig. Stefano Lesti. Nella foto di copertina un ritratto di gioco di Giulio Glorioso; in quella di chiusura Stefano Lesti in compagna di Giuseppe Sesto, presidente della SS Lazio Baseball & Softball)