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ALLA SCOPERTA DEI “RED FOXES”. Intervista a Davide Garzia

29 Nov , 2020  

di Ignazio Gori

More than a Club“. Sono queste le parole con le quali amano identificarsi. Parole a mio avviso giuste, visto che l’ASD Red Foxes Roma – Softball & Baseball, più che un club sportivo intende volgere ad una identificazione che faccia da ponte, con tinte multietniche, tra lo sport amatoriale e quello agonistico vero e proprio, con un organigramma da far invidia a molti club professionistici. Lasciatemi esprimere un minino di orgoglio personale nel dire che queste “volpi” mi stanno particolarmente simpatiche, in quanto molto poco labilmente tradiscono, nell’intenzione del fondatore, la fede – da me fortemente condivisa – per la nota squadra bostoniana, cui il nome e i caratteri (molto belle le divise di giuoco e il logo!) sembrano rimandare inequivocabilmente lo sguardo dell’appassionato. Il territorio romano, per ogni sport che non sia il calcio, rappresenta un terreno paludoso e insidioso ed io trovo ammirevole il progetto dei Red Foxes, anche nell’impegno del mini baseball, che sta attecchendo molto bene.

Anche in rappresentanza del Vicepresidente Francesco Pumpo, del Segretario Tesoriere Massimiliano Di Vito e del Consigliere Clelia Siniscalco e di tutto il resto dello staff tecnico-organizzativo, il Bar del Baseball ha sentito il Fondatore nonché Presidente della squadra, Davide Garzia, il quale ci racconta con entusiasmo chi sono i Red Foxes.

Davide, come sono nati i Red Foxes?

“I Red Foxes nascono ufficialmente alla fine del 2012, quando decisi con mio fratello di fondare una squadra e ridare respiro alla nostra passione. Da bambini avevamo formato una squadretta di baseball con gli amici, molto in stile Peanuts. Ci chiamavamo Wizards (i Maghi) e giocavamo tra le erbacce del campo di via Galba. Successivamente abbiamo giocato per anni nella Lazio, appassionandoci sempre di più ed abbiamo smesso definitivamente a metà anni ‘90, in seguito alle rivoluzioni continue del baseball romano di quegli anni. Da quel momento in poi, col passare degli anni, abbiamo sempre discusso se tornare a giocare o meno, finchè una squadretta domenicale, che ruotava intorno al grande Gianni Sbarra, ha riacceso la miccia a Villa Pamphilj: abbiamo così deciso di rimboccarci le maniche e creare noi la NOSTRA squadra.”

Che significa essere appassionati di baseball/softball a Roma, città un poco austera nei confronti di queste discipline?

“Roma è una città particolare: dispersiva, pigra, indolente, sempre rivolta al passato … Non ci si può aspettare di avere input di nessun genere verso questi sport. Eppure c’è un mondo parallelo di softball amatoriale: tante squadre di filippini, dominicani, venezuelani, americani … Sai che d’estate ci sono un sacco di partite nei parchi pubblici? Basta avere un po’ di curiosità, apertura mentale e, soprattutto, occhi per vederle. Venendo in contatto con queste comunità, si può creare un vero universo, coloratissimo e molto attivo: Roma così non è più un limite, ma un’opportunità. Ed è quello che abbiamo fatto!”

Come è strutturato il vostro club?

“Il nostro club è strutturato con tre squadre di adulti che esprimono tre diversi livelli di gioco: una squadra più competitiva, una di livello intermedio, una di principianti. Da quest’anno abbiamo anche due squadre di bambini, i Little Foxes e i Mini Foxes, che sono i più piccoli (partono dai 4 anni) ma i più agguerriti di tutti. Una gioia vederli giocare! Abbiamo inoltre cercato di creare tutto in casa: dirigenti, allenatori, preparatori atletici (persino gli arbitri!). Negli anni passati abbiamo avuto l’aiuto concreto sul campo e la supervisione di Giuseppe Bataloni, che ci ha aiutato moltissimo ad alzare l’asticella delle nostre aspettative e dei nostri orizzonti: ci ha lasciato moltissimo e gli saremo sempre grati per questo. Da quest’anno, i nostri allenatori hanno cominciato a camminare con le loro gambe ed è stata una bellissima sorpresa vedere quanti tra i nostri tesserati si siano messi a disposizione come assistant coach per uno, o più gruppi di cui non fanno parte come giocatore.”

Avendo uno status amatoriale, che tipo di competizioni affrontate?

“Tra prima e seconda squadra giochiamo circa settanta partite l’anno; solitamente i tornei si svolgono in un weekend, si viaggia in una città (quasi sempre del nord Italia) e si giocano 5-6 partite in due giorni. A questi tornei partecipano molte squadre: quella del softball amatoriale è una bellissima comunità, molto proattiva, straordinariamente efficiente e moderna nella parte organizzativa. Partecipiamo anche alle varie One Day League a Roma, spesso organizzate dalla comunità filippina, con cui abbiamo un rapporto privilegiato e consolidato da anni di amicizia sportiva e culturale. Siamo sempre aperti a nuove possibilità,  ed anche allo SlowPitch, che ci ha permesso di conoscere diverse realtà del Sud Italia: Napoli, Caserta, Salerno …”

Mi sembra di capire che i Red Foxes siano una famiglia in espansione, un club con molte potenzialità, aperto a diverse espressioni del “batti-e-corri”, ma nonostante questo ancorato alla propria identità storico-formativa, come suggerisce la vostra personalissima – e da me molto apprezzata – Hall of Fame, consultabile sul sito del club www.softballredfoxes.com

“Nella sezione della Hall of Fame del nostro sito sono menzionati i giocatori che hanno fatto la storia di questa squadra. Ripercorrerla è uno splendido viaggio nei ricordi, nelle trasferte, nelle emozioni. Mi piace che le “piccole volpi” si chiedano perchè alcuni numeri siano stati ritirati, mi piace che crescano conoscendo la nostra storia, da dove veniamo, oltre al rispetto per chi questa storia ha contribuito a crearla attivamente. Tra i giocatori citerei mio fratello Stefano (ora trasferito negli Stati Uniti), che oltre ad essere stato fondatore e capitano di questa squadra, ci ha regalato l’orgoglio di partecipare ai Campionati Europei di FastPitch del 2019, con la nazionale italiana a Praga. Un grande onore per una società amatoriale!”

 

I Red Foxes hanno da sempre una spiccata componente multietnica. Non è così?

“E’ vero. Ci teniamo molto alla nostra componente multietnica. Abbiamo avuto giocatori provenienti da tutti i continenti, di trenta nazionalità diverse. Nel nostro dugout si sente parlare inglese, spagnolo, giapponese, filippino… i Red Foxes sono di chi ne condivide i valori sportivi, inclusa la componente internazionale. Oltre al nostro storico catcher giapponese Taichi Ishimaru, ci sono diversi giocatori del Sol Levante in squadra fin dalle origini. Senz’altro merita un ricordo particolare il nostro fortissimo pitcher Patrick Rata, che è stato l’ambasciatore neozelandese a Roma per quattro anni, e nonostante gli impegni di lavoro che potete immaginare, non ha mancato una sola partita. Tante squadre hanno provato a contattarlo per farlo giocare con loro, ma ha sempre risposto: ho già la mia squadra! Ecco, anche questo senso di appartenenza, è un valore fondante dei Red Foxes.”

 

Obiettivi nell’immediato e prossimo futuro?

“Nonostante quest’anno funesto, siamo riusciti a consolidarci ed addirittura ad espanderci. Il nostro obiettivo principale è avere uno spazio nostro su cui poter contare e crescere e ci auguriamo che sia un progetto a breve termine, nonostante la situazione drammatica dei campi a Roma (vedesi la delicata questione del softball femminile all’Acquacetosa).  Io non sono nessuno per consigliare come creare squadre di alto livello da un punta di vista tecnico, è indubbiamente un percorso lungo e difficile. Ognuno deve dare il suo contributo nel portare entusiasmo, competenza e passione, ad ogni livello. Continuare a riprodurre sempre gli stessi modelli, fare sempre le stesse cose, nello stesso modo, ed aspettarsi di ottenere risultati diversi, è uno spreco enorme di energie. Io auspico un’apertura mentale diversa, che consenta di ripensare le cose in un’ottica moderna. Bisogna smettere di aspettarsi qualcosa dagli altri e cominciare ad essere autonomi. Ma non autoreferenziali: è fondamentale sapersi adeguare ai tempi e lasciarsi “contaminare” da altri validi esempi. Ripeto, Roma potrebbe rappresentare campo fertile. Sento sempre parlare del passato, di com’era bello il baseball italiano, di quante persone giocavano, di quanto pubblico andavo negli stadi … Sempre lamentele, malinconie e ricorsi in bianco e nero, sembra essere diventato questo il parlare di baseball in Italia. Io invece farei una bella autocritica sul fatto che con i mezzi di comunicazione del 2020, non si sia in grado di far conoscere maggiormente questo sport, di trasmettere passione e coinvolgere nuovi praticanti e pubblico di appassionati in erba. E da chi dipende questo, se non da noi stessi? Consiglio agli appassionati che volessero provare a giocare di non sprecare il proprio entusiasmo e trovare una società che li accolga, un club che sia capace di indirizzarli nella maniera migliore, tenendo conto anche di una giusta rappresentanza geografica.”

A proposito di questo ultimo concetto, perché un amatore, un esordiente o un semplice appassionato dovrebbe iscriversi nei Red Foxes?

“Perché giocare nella nostra squadra è diverso: è un’esperienza full immersion nella Passione e non necessariamente adatta a chiunque. C’è una grande attenzione ai valori dello Sport, il rispetto per i compagni, gli avversari, gli arbitri. Il collettivo viene prima dell’individualismo. Bisogna essere disposti a condividere, non solo a prendere. E’ entrare in un’altra dimensione, quella del sogno che si realizza. Non è un caso che il nostro grido pre-partita sia: “Una volta volpi, sempre volpi!

Il Bar del Baseball ringrazia il Presidente dei Red Foxes Davide Garzia e si augura che una realtà come questa possa essere contagiosa 

(Le immagine sono state gentilmente fornite dal sig. Davide Garzia)