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CLAUDIO ACQUAFRESCA: uomo di campo, uomo di fotografia

5 Feb , 2021  

di Serenella Mele

Il 1963 ha dato inizio a tutto. La Rai passò un film con protagonista il Baseball, Quando torna primavera (It HappensEvery Spring” del 1949, diretto da Lloyd Bacon. È stato nominato agli Oscar per la miglior sceneggiatura nel 1950).

L’incontro telefonico con Claudio Acquafresca, uomo di campo perché ha conosciuto il baseball da giocatore, da tecnico, adesso da fotografo che però ha ancora molto da insegnare, è di quelli che vorresti durassero ore: i racconti di ragazzo che corre al campo dopo la scuola, i primi colpi a quelle palline cucite in modo improbabile e poi avvolte di nastro isolante, ed altri ricordi. La sua “favola” personale col baseball, va raccontata ed è piacevole da ascoltare.

Il giorno dopo aver visto il film -mi racconta Claudio – abbiamo iniziato a provare quel gioco sconosciuto. Usavamo il mattarello per la pasta e una palla da tennis. Non eravamo in una strada, ma su un balcone, a Milano città. Eravamo io e Aldo Damioli, non avendo nessuno che ci aiutava a capire la tecnica, ci facevamo pure male. Lui adesso è un pittore affermato.

Lo stesso anno mia madre mi regalò una Kodak su consiglio della zia Lella, fotografavo di tutto: una volta mi sono sdraiato sotto il muso di una Fiat 500 per riprenderlo da…investito.

La passione per la fotografia, nasce allora?

La mia prozia nei primi del 900, andava in giro con una sua macchina fotografica. Lei mi ha insegnato qualcosa, mi ha fatto vedere le prime lastre. Nella seconda metà degli anni ’80 mi è tornata la passione, ho comprato la reflex, ma non è durata tanto perché costavano molto pellicole e sviluppo: magari su 24 scatti le foto buone erano due. Quindi ho abbandonato, per riprendere più tardi col digitale.

Hai giocato a baseball per lungo tempo..

Ho fatto trenta campionati. Abitavo vicino a Piazza Aspromonte, che si è prestata a farci iniziare a giocare a baseball. Cinquecento metri più avanti c’era Piazza Piola, dove c’era la sede del baseball milanese di allora, non distante c’era anche Città Studi dove giocavano due delle squadre milanesi della serie A (Milano -ricorda Claudio- ha avuto un anno quattro squadre in serie A). Nel 1964 abbiamo iniziato a fare le prime partite, le trasferte erano da piazza Aspromonte a Piazza Piola. Giocavo sul campo “Giuriati”, ho chiesto di provare ed ero bravino. Un certo Giancarlo Mangini, che considero il mio papà di baseball, mi ha fatto tesserare ed ho fatto il mio primo campionato nel 1965 con la GBC. Avevo 13 anni, abbiamo vinto il campionato italiano under 15, che allora si chiamava “Babe Ruth League”. Sono stato convocato in Nazionale, ma ero troppo giovane e non ho passato le selezioni. Nel 1966 mi hanno convocato per fare gli Europei in Olanda, siamo arrivati secondi perdendo la finale contro una selezione fatta nelle basi americane: Usa-Germania, composta dai figli dei soldati delle basi americane. Fortissimi, un grande livello tecnico in campo. Sempre in Nazionale ho vinto l’Europeo a Roma nel 1967. A 15 anni la prima partita in serie A: ho giocato ricevitore nelle giovanili, in serie A mi utilizzavano come “scalda lanciatori”, l’esordio vero e proprio l’ho fatto in terza base allo Stadio “Tardini” di Parma, mi tremavano le ginocchia!”

Uno “zingaro dei campi di baseball” così si definisce Claudio Acquafresca, che dopo Milano calca la terra rossa in club come Codogno, Lodi, Bergamo, Olbia: “Andavo a scuola e dopo, col pranzo ancora in bocca, via ad allenarmi -prosegue Claudio –  avevamo solo due guantoni: uno da ricevitore ed uno da prima base. Io che giocavo da ricevitore avevo solo il guanto, niente maschera, né pettorina o altre protezioni, degli incoscienti. Le palline erano quelle quasi completamente scucite, le facevamo ricucire finchè non era consumata la pelle, quindi le avvolgevamo con nastro isolante di tutti i colori. Non ero assolutamente un professionista, ma la passione per il baseball era totale e mi faceva affrontare rischi e sacrifici”.

Torniamo alla fotografia. Soggetti preferiti?

Non avevo e non ho soggetti preferiti. Ho sempre voluto capire la fotografia. Ci tento ancora oggi, mi piace andare in strada e fotografare (quando possibile).

Parliamo di baseball e softball. Cosa ti piace cogliere di una partita e perché?

Beh, questa domanda a uno con più di 50 anni di Baseball…..

Ho un vantaggio, conoscendo piuttosto bene il gioco posso anticipare l’azione e aspettare che avvenga. Poi cerco di andare oltre il gioco cercando di cogliere immagini e espressioni insolite.

Io provo a farlo parlare di sport e fotografia, ma i racconti della carriera da giocatore e da tecnico, fanno di Claudio Acquafrescaun soggetto che deve essere lasciato libero di esprimere l’animo da uomo di campo.

Tu sei un tecnico, hai giocato, alleni…

Lo sono stato. Mi sono arrabbiato anni fa, con soggetti e personaggi che considero “cattivi. Facevo il magazziniere part time, e tutti i pomeriggi li passavo sui campi. Ero uno dei formatori nel corso tecnici. La soddisfazione più grande era tenere insieme i gruppi dei ragazzi, farli diventare amici fra di loro. Ricordo con piacere un camp che ho organizzato per sette anni consecutivi, dal 1997 al 2003, spesso rimettendoci soldi di tasca. Ho iniziato davvero DA SOLO ad organizzare il camp, ad un certo punto mi sono stancato, visto che nessuno mi supportava ho mollato tutto”.

Alla voce professione ufficiale e dove vivi, cosa scrivo?

Pensionato. Da un anno mi sono stabilito ad Olmedo (Sassari), un po’ prigioniero della situazione attuale, vivo con una piccola pensione. Mi sarei trasferito a Tenerife, ma è troppo lontano e mi sarei sentito solo. Nel 1968 sono venuto in Sardegna per la prima volta, ad Alghero, mi sono innamorato dell’isola. Zona circondata da diamanti, ci sono diversi campi, considerata la realtà sarda non sono pochi. Lo scorso anno ho allenato la serie C di Sassari, adesso sto dando una mano alle Tigri baseball di Alghero seguendo i progetti scolastici.

Ma torniamo alla fotografia sui campi

Ho ripreso i contatti col baseball grazie alla fotografia digitale. Visto che la maggior parte delle foto avevano come soggetto il battitore o il lanciatore nelle solite pose e con pochissime varianti, sono tornato sui campi per congelare altre situazioni. Praticamente un ritorno di fiamma.

Ama definirsi “un fondamentalista del baseball, del gesto sportivo: Devi allenarti per diventare bravo. Non sono parole mie ma di famosi giocatori professionisti americani. Adesso vedo troppi stranieri e straniere in campo, anche tra i tecnici. Una gestione che non mi piace, che non porta a niente di buono. Con la scusa che i tecnici cubani e venezuelani costano poco, non si utilizzano tecnici italiani validi. I giocatori spesso hanno solo il cognome italiano e magari nemmeno parlano la nostra lingua, sia nel baseball che nel softball. Ho visto partite di playoff contando sulle dita di una mano giocatori e giocatrici nati e cresciuti sportivamente in Italia. Ormai abbiamo atleti ed atlete pagati per partecipare ai campionati ed alla Nazionale.

Adesso in campo ci vai soprattutto da fotografo. Cosa ami fermare nelle immagini?

Conoscendo piuttosto bene il gioco, quando un giocatore va in prima base, se so che è un corridore veloce lo punto con l’obiettivo perché con molta probabilità tenterà la rubata. Guardo anche i segnali del suggeritore. Metto a fuoco la seconda base e aspetto. Cerco l’azione particolare, il doppio gioco, la toccata. Molti colleghi fotografano soprattutto il battitore e il lanciatore, io cerco anche le espressioni a gioco fermo ed in altre zone del diamante.

 

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