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DIFESA ED ERRORI

21 Set , 2019  

di Cristina Pivirotto

Adesso è l’ora delle giustificazioni: eh, ma se non colpivano Colabello! Eh, ma loro hanno tutti americani in squadra! Siete diventati come tifosi di calcio: la colpa è da ricercare al di fuori di noi.

Errore.

La colpa siamo noi! Difficile da ammettere, ma è così. La colpa siamo noi, che ci convinciamo che un solo uomo possa fare la differenza, dimenticandoci che si gioca in nove.

La colpa siamo noi, che abbiamo giocatori che spacciamo per italiani, perché hanno un passaporto tricolore e poi non riusciamo a comunicare con loro, se non parliamo americano.

La colpa siamo noi, che continuiamo a dire che la sfortuna ci perseguita.

La colpa siamo noi, che ci riempiamo la bocca di “vinciamo insieme, perdiamo insieme”, senza sapere, senza capire, senza sentire cosa significa.

La colpa siamo noi, che non vogliamo vedere al di là del nostro naso.

Negli ultimi quattro anni gli israeliani hanno fatto un balzo incredibile nel ranking mondiale e, adesso, sono a un passo dalla (ex) blasonata Italia, che invece continua a scendere.

La forza degli israeliani non è la nazionalità, ma l’appartenenza. Non sono una squadra, sono un gruppo, con un loro specifico destino, fatto di storia e cultura, in cui si sentono accomunati e dentro al quale crescono, aiutandosi l’un l’altro. La loro grande forza di aggregazione è la religione, con tutte le sue sofisticate dimensioni. Ognuno di loro si carica di un ruolo, tagliato come un vestito, su misura per le proprie capacità e da condividere con gli altri.

Il gruppo diventa una cosa sola, perché il mio vestito sta bene vicino al tuo o possiamo scambiarcelo, perché la misura è la stessa.

Sono un gruppo perché il loro collante è anche una difficoltà creata dagli altri: se uno ha una difficoltà, tutti hanno una difficoltà. Allora ecco che uno può aiutare chiunque altro, in quel gruppo. Se so che il mio compagno è vulnerabile in qualcosa, io subentro per compensare. Il sogno di uno è il sogno di tutti e spinge l’intero gruppo nella direzione della conquista.

Il gruppo non è una posizione nel line up, il gruppo sono le persone, con ambizioni comuni, sogni comuni, grandi emozioni comuni.

Le ragazze italiane del softball vanno alle Olimpiadi per la stessa ragione: non sono una squadra, sono un gruppo.

Noi abbiamo costruito su materiali non adatti alla costruzione, sulla voglia di vincere, di essere superiori, ma la superiorità italiana su cui basarsi è quella di tempi appena precedenti a quelli odierni. Un’Italia che è stata la più ricca di successi e della quale, oggi, si pensa di sfruttare i fasti. Ma la sostanza non c’è più.

Ora si può solo affidarsi alle nuove leve, quelli che stanno crescendo, una nuova generazione.

Abbiamo giocatori che mettono in campo prestazioni regolate dal timer dell’interesse. Fuoriclasse (?) che giocano buone partite solo se l’avversario permette di mettersi in mostra, altrimenti offrono sbiadite prestazioni, commisurate solo al compenso percepito.

Questa federazione ha messo in piedi (attenzione, non dico che ha costruito, ma che ha messo in piedi) un progetto basato sulla ricerca del primato, senza minimamente considerare che gli attori protagonisti sono persone, cercando invece di sfruttare opportunità, di quelle pagate, un po’ come se fossero … ma che lo dico a fare?

Arrivare primi con 15 persone che arrivano dagli Stati Uniti il giorno prima che inizi l’Europeo a me non serve. Scendi dall’aereo, vinci il campionato europeo, grazie dammi la coppa e poi finisce di lavorare con noi(… cit. Andrea Marcon – Presidente FIBS) 

E mentre gli altri cercano passaporti da utilizzare per la bisogna, a Israele si cerca chi professa la stessa religione, perché quella è la motivazione comune, con tutte le sue difficoltà per professarla. La religione che guida la vita di ogni giorno. Loro hanno una direzione, noi abbiamo un interesse. Fino a quando non si capirà questo saremo condannati alla delusione. Loro hanno il “come”, noi abbiamo il “perchè”.

Continuiamo a guardare il dito, mentre la luna continua a splendere e ci perdiamo lo spettacolo.

Quella di ieri è stata l’ultima stoccata, che ha colpito di punta l’entusiasmo che morirà, se non c’è di che cambiare la direzione, nei prossimi otto anni. Sì, perché tanto si dovrà attendere prima di avere un’altra occasione di vivere il sogno olimpico. 

Vivrà e rimarrà il romanticismo che mantiene ben definito, in noi, l’amore per il baseball.

Amiamo questo sport, sopportiamo e supportiamo la delusione, ci ha insegnato a perdere, ma, a un certo punto, ci scopriamo anche stanchi.

(Fonte immagine: WBSC)