Racconti

E’ stato bello stare con Smokey

10 Mag , 2018  

di Beppe Carelli

“Hey!, c’mon guys, seguitemi”. Dobbiamo partire da Bear Mountain e proseguire verso nord attraversando il Delaware. È un bel viaggio perchè raggiungeremo una verdeggiante e rigogliosa area conosciuta come Regione dei Tre Stati.

È una zona selvaggia, la migliore per andare a caccia e a pesca. Una lussureggiante vegetazione ricopre le colline che si specchiano nei laghi circostanti. In estate, le grigliate e i campeggi rappresentano la fonte di svago e di relax degli abitanti della zona. “E i tramonti?… Damnit se sono belli!”, è un tuffo nel rosso cremisi di un sole che scompare e che ci lascia senza respiro”. Tale area è famosa perchè è stato il luogo di nascita di tanti ballplayers.

“Follow me!, you lazy meatballs!”. Qualche kilometro più avanti sulla strada per Shohola Falls, c’è una deviazione sulla destra che si perde nel fitto bosco con un cartello che dice “Twin Lakes”. Addentrandosi in quella strada si possono vedere distintamente i due laghi, ma della città nessuna traccia. Una fattoria di legno antico appare ai nostri occhi. Si intravede un uomo indaffarato e impegnato in quelle che sono le normali attività di un countryman. Se lui si accorge che una machina si avvicina, si volta e saluta con la genuinità e la dolcezza di quel paesaggio.

 

Ma non quel giorno. Ci siamo fermati e lui si è avvicinato con un caloroso benvenuto come se fosse un incontro di vecchi amici. Questo è Joseph Wood Sr. È conosciuto e benvoluto dalle poche persone che vivono intorno a Shohola. Ma c’è stato un tempo in cui Joseph era conosciuto dappertutto negli States. “Joseph Wood?…Uhm!…Chi è?…forse è un pò vago. Ok, facciamo Joseph “Smokey” Wood…nessun dubbio adesso?”.

Nel 1912 è stato il più esaltatante atleta nello sport americano vincendo 34 partite quando giocava per i Boston Red Sox. Fu anche l’eroe di quelle famose World Series vincendo 3 partite. Wood sconfisse Christy Mathewson 4-3 nella partita decisiva. 16 delle 34 vittorie stagionali furono consecutive e due contro il grande Walter Johnson.

Aggiungiamo la no-hit contro St.Louis per completare il quadro di un atleta diventato leggenda come un fulmine a ciel sereno. Wood possedeva la dritta più veloce mai vista al tempo, tanto veloce che si fumava i battitori, guadagnando il soprannome di “Smokey”.

 

Tutto questo alla tenera età di 22 anni. In quell’Ottobre di tanti anni fa, con il suo cappello indossato in modo disinvolto, con la visiera storta, Wood fermò la sua immagine sulla soglia della grandezza fino ad allora mai raggiunta. Le sue prestazioni erano parte della squadra tra le più forti mai viste, quei Boston Red Sox di Tris Speaker, Harry Hooper e Duffy Lewis, di Jake Sthal, Heinie Wagner e Larry Gardner.

Per una stagione intera, Wood è stato praticamente imbattibile e con la sua giovane età non vi furono limiti alle previsioni future dei records che avrebbe raggiunto.

 

Tuttavia, all’ombra di questa fantastica figura si celò una triste storia che vide il giovane talento derubato da quel magnifico regalo che la natura gli aveva donato. Nell’inverno del 1912 qualcosa successe alla spalla di Smokey e quel maledetto dolore persiste tutt’ora.

Un infortunio che nei tempi moderni verrebbe curato con estrema tranquilità ma che purtroppo la medicina del tempo non riuscì a risolvere, costringendo Wood all’impossibilità di sollevare il braccio oltre l’altezza della spalla.

Questa situazione generò tanto sconforto nel giovane talento che si trovò ad affrontare l’abisso della sofferenza dopo aver appena assaporato l’apice della magnificenza. Tuttavia vi fu un risvolto piacevole in tutta questa storia.

 

(“È stato bello stare con Smokey”).

 

Non fu la fine per Joseph Smokey Wood. Nonostante quel dolore, riuscì a lanciare e vincere 11 partite nel 1913 perdendone 5. Vinse 9 partite e ne perse 3 nel 1914, e nel 1915 riportò i Boston alla vittoria del pennant con le sue 14 vittorie. In totale le sue 34 vittorie con il braccio dolorante nascondono tutta la bravura di Smokey ancor più dello stesso numero di vittorie ottenute nel 1912 quando la sua velocità era come un knock-down per ogni battitore.

Certo, col dolore alla spalla, i battitori colpirono i lanci di Wood, ma non abbastanza da farlo smettere. Smokey lanciava tutte le riprese e non voleva mai essere sostituito.

Se il manager aveva intenzione di farlo, dopo un paio di valide o una base su ball,

Joseph terminava la ripresa con uno strike-out o un eliminato al volo.

La storia non finisce qui perchè dopo un anno di inattività nel 1916, all’età di 27 anni

Wood era praticamente finito come lanciatore, ma non come giocatore di baseball.

 

Fu proprio nel 1917 che andò dall’amico-manager Tris Speaker e giocò per 6 anni con i Cleveland nel ruolo di esterno e prima base. Giocò la sua terza World Series contro

Brooklyn nel 1920. Nel 1921 ottenne .366 di media battuta e fu l’unico insieme a Babe Ruth a vincere le World Series come lanciatore per poi essere impiegato regolarmente nell’ordine di battuta. Quando nel 1922 Smokey si ritirò dal baseball aveva collezionato 15 anni di attività, vincendo 115 partite e perdendone solo 57.

 

Giocò quasi 500 partite terminando la carriera con .300 di media battuta. Non è facile trovare un giocatore di baseball con queste caratteristiche. Anche nella Hall of Fame, i numeri di Wood non sono rintracciabili. Forse il tempo ha aggiunto leggenda alla grandezza di Wood, in un periodo dove l’Old Game era praticato con durezza, con carattere sanguigno e non era certo rappresentato nel suo lato romantico.

 

(“È stato bello stare con Smokey”).

 

Ma Joe Wood ha aggiunto questo lato nel modo più piacevole ed è bello poter ricordare la sua storia. Ora vive qui, vicino a Shohola nella casa dove nacque il padre nel 1854. Il nonno arrivò nei primi dell’800 e comprò migliaia di acri di terra e foreste e Joe ora ne possiede almeno 500. Con un sorriso mi dice: “Entra, ci facciamo un drink, la spalla mi fa ancora male, ma l’altra è in forma e può sollevare un bicchierino per un brindisi.”

 

(“È stato bello stare con Smokey”).

 

Ai margini della foresta c’è un ripostiglio dove lui e i suoi vecchi compagni dei Red Sox e Cleveland si riunivano per prepararsi ad andare a caccia e a pesca. È passato tanto tempo da allora, ed ogni anno gli amici sono sempre di meno perchè quando

tornano a casa, Smokey non sa se rivedrà qualcuno di loro il prossimo anno.

 

(“È stato bello stare con Smokey”).

Ora ha perso interesse per la caccia e la pesca. Quando è stanco si siede appoggiando

la schiena ad una parete del ripostiglio. Una grande foto ingiallita dal tempo, che lo ritrae nel suo splendore con la divisa dei Boston è lì, appesa, coi bordi irregolari e stropicciati. Il suo sguardo è diretto verso la foresta dove qualche animale selvatico si ferma ad osservarlo con curiosità. Ormai lo sanno anche loro, il vecchio cacciatore ha deposto il suo fucile, come fece un tempo, allo stesso modo, prendendo il suo guantone tra le mani per chiuderlo per sempre.

Giù al fiume i castori erano impegnati con febbrile attività, a costruire la loro diga con rami e tronchi di legno che recuperavano avvicinandosi anche al vecchio pitcher.

Allo stesso modo, i suoi compagni di squadra lo celebravano dopo una vittoria.

 

(“È stato bello stare con Smokey”).

 

Come quando Tris Speaker, il suo grande compagno d’albergo per 15 anni, dopo un breve soggiorno presso il vecchio Joe, lo salutò per tornare a casa in Texas. Ma Tris non arrivò mai in Texas. Chissà se quando tornerò a Shohola troverò Smokey seduto ad osservare la foresta. Forse entrerò in casa col fiato sospeso cercando un paio di bicchieri per fare un brindisi. Oppure andrò giù verso il fiume e se non basta entrerò nel ripostiglio. No, non voglio voltarmi cercando Joseph con lo sguardo. I miei occhi saranno fissi nel contemplare quella foto ingiallita dal tempo, dai bordi stropicciati.

Forse in quel momento sarò in compagnia di quei graziosi animali della foresta,

gli ultimi testimoni dell’ultima sua fastball.

 

(“È stato bello stare con Smokey”).