Altro

Gianni BOLDRIN: una vita nel Baseball, una vita per il Baseball e per i ragazzi ai quali lo insegna da sempre.

29 Ott , 2018  

di Riccardo Mazzucato

Ho avuto la fortuna di conoscere una persona eccezionale, una persona straordinaria, fuori dal comune, una persona che ha dato tutta la sua vita al Baseball, 47 anni nel Baseball, per il Baseball e per i ragazzi a cui lo insegna da sempre. Ci siamo fatti una chiacchierata a 360° sul Gioco più bello del mondo e sulla sua lunga carriera. Ed ecco cosa ne è venuto fuori. Signore e Signori vi presento un mito per noi Padovani che amiamo questo gioco: Mr. Gianni BOLDRIN !

Come hai conosciuto il Baseball ?

Il primo impatto con il Baseball l’ho avuto da ragazzino guardando un film del 1957 con Anthony Perkins, titolo originale ‘Fear Strikes Out’, titolo in Italiano ‘Prigioniero della paura’, biografia di Jimmy Piersall che ha giocato 17 anni in Major League dal 1950 al 1967 con Boston Red Sox, Cleveland Indians, Washington Senators, New York Mets e Los Angeles / California Angels. E’ la storia di un giovane che viene costretto dal padre a diventare un giocatore di Baseball, ma non riesce a reggere la tensione psicologica, ha un crollo nervoso e uno psichiatra lo aiuta a ritrovare l’equilibrio mentale. A quell’epoca c’era ancora mio padre e gli chiesi: <<e (cos’è) sto Baseball ?>>. Risposta: <<E’ un gioco che giocano in America>>. Chiuso il discorso.. e non ci pensai più. Però, già da ragazzino, il calcio non mi piaceva, i miei compagni di classe mi costringevano a giocare con loro ma avevano notato che ero un brocco, nessuno mi marcava e segnavo anche ! Poi andavo a casa: <<Sai papà che ho segnato !?>> ma mio padre non mi ascoltava. Ad un certo punto mio padre mi disse: <<Beh, fai qualche sport>>. Perciò, il calcio non mi piaceva, per pallacanestro e pallavolo non sono mai stato alto e io cercavo uno sport che fosse diverso dagli altri, che lo facessero in pochi perché se erano in pochi potevo essere il numero 1 (RISATA) ed essere famoso (RISATA). Ad un certo punto, anno 1971, 18 anni, alle scuole superiori, si aggregarono dei ragazzi di un’altra sezione. A Maggio uno dei ragazzi durante la ricreazione esordì: <<Ah, io gioco a Baseball !>> e io da ignorantone (risposi): <<No, non è vero, lo giocano solo in America !>> memore di quello che mi aveva detto mio padre. <<No, no, io lo gioco ! Vieni a vedere la partita !>>. E dentro di me, incazzato come una iena perché abitavo in una parrocchia confinante con quella dell’Arcella (quartiere e parrocchia di Padova) mi dissi: <<Ma è possibile che io non mi sia mai accorto di questo sport ?>>. Andai a vedere la partita. Domenica. Pieno di gente. Chi c’era sul monte ? Anche se il monte non esisteva perché si giocava su un campo da calcio. Sul monte di lancio c’era Roberto ‘Bobo’ Tommasin. E tutti che facevano il tifo per lui. E dentro di me: <<Anch’io voglio fare la roba che fa lui ! Perché voglio anch’io gli applausi>>. E insomma sto mio amico mi fa: <<Beh, dai, vieni ad allenarti !>>. E cominciai ad allenarmi. Arrivai al campo, primo allenamento, categoria Allievi e non c’erano quelli della mia età perché io ero già fuori età e questi come mi videro si misero a ridere: <<Che cavolo viene a fare questo qua ?>>. E mi ricordo l’Allenatore Mirko Berti che purtroppo è mancato quest’anno che mi disse: <<Tira !>>. <<E beh, com’è che si fa a tirare ?>>. <<Tu prova !>>. E tirai, non so che movimento io abbia fatto, però la mia palla andò direttamente al bersaglio (RISATA), nel guanto del mio compagno. Perciò cominciai ad allenarmi e volevo fare il lanciatore e mi piaceva la cosa. Però, siccome sono presuntuoso ma mi reputo anche un ragazzo intelligente, ragazzo di una volta (RISATA), ero cosciente del mio livello da brocco allora mi allenavo il doppio perché volevo giocare e stare al pari dei miei compagni che mi dicevano sì <<Bravo!>>, ma io mi chiedevo, ma se sono bravo perché siamo in Serie C invece di essere in Serie A ? A quei tempi c’erano la Serie D, la Serie C, la Serie B e la Serie A e c’erano diverse squadre. Era la squadra dell’Arcella, si giocava sul campo dietro al Patronato della Parrocchia. E iniziai con l’allora Categoria De Martino, io ero il fuori quota, unico lanciatore, le partite duravano anche 4 ore, giocavamo con la Fortitudo Bologna e la Ceramiche CerCosti che erano il vivaio delle 2 prime squadre di Bologna. Giocavamo e perdevamo 35 – 1, 35 – 2, 4 ore di gioco, questi qua distrutti: <<Basta, finiamola, andiamocene a casa !>> e noi <<No, no, vogliamo fare il punto della bandiera !>>. E ci riuscivamo ! Grazie a Davide Paparone e a Ivano Danieli perché erano mancini e il lato destro era corto, sarà stato 40 metri, per cui loro ogni tanto riuscivano a buttar fuori la palla allora arrivavo in seconda base e poi bene o male si riusciva ad arrivare a casa base.”

Come entrò in Società Mariano Bellamio ?

Con l’entrata in Società di Mariano Bellamio realizzai un mio grandissimo sogno. All’epoca avevamo bisogno di trovare uno sponsor. Desideravo così tanto trovare uno sponsor per la nostra squadra. Avevamo bisogno di divise nuove, di un campo regolamentare, etc. In una delle riunioni del Sabato sera in cui l’Allenatore decideva la squadra e informava i giocatori, Bobo Tommasin che giocava a Verona in Serie B, mi raccontò che un giocatore facendo l’autostop aveva trovato lo sponsor. Ne parlai con mia madre che mi consigliò di chiedere a Bellamio. Mariano Bellamio abitava vicino a casa mia e aveva una falegnameria sotto il suo appartamento. Un giorno andai da lui e cominciai a parlargli della squadra di Baseball ma non gli chiesi subito i soldi. Mi ricordo che lo tampinai per 2 anni. Non fu una cosa facile. Usai tutta la mia diplomazia. Un giorno mia madre gli commissionò dei mobili per la cucina. Quando ce li consegnò gli chiesi della mia proposta di fare lo sponsor e lui mi rispose scocciato: <<Basta rompere … vieni col tuo Presidente >>. Tornai da lui un Giovedì sera con il Presidente, parlai prima io, poi il Presidente; Bellamio si alzò, andò in cucina e prese un borsello (penso ce l’abbia ancora) strapieno di roba dal quale tirò fuori un libretto di assegni e ci fece un assegno di 600.000 Lire. <<Vi comprate le divise>>. E mi chiese: <<Che colori vuoi ?>>.
Giulio Glorioso, uno dei più grandi lanciatori Italiani, è mancato da poco, mi aveva regalato con dedica, un libro sul Baseball Americano, dovevano essere i primi 150 anni del Baseball Americano. C’era una pagina con tutti i colori delle varie squadre. Erano i soliti colori, sto nero, sto blu, sto rosso, e c’era una squadra che mi aveva attirato ed erano gli Oakland A’s, giallo-verde. Perciò a Bellamio risposi prontamente: <<Giallo-verde !>>. In quel momento non stetti lì a specificare che giallo e che verde, non mi passò nemmeno per la testa in quel momento. Arrivarono le divise: giallo canarino e verde smeraldo. Va ben, non ti dico i miei compagni, però Mariano Bellamio diventò il Presidente e sponsor del Padova Baseball e lo fece per 20 anni.”

Nel Baseball non c’è un prototipo di giocatore, il Baseball è per tutti, alti, bassi, magri, grassi.

“Verissimo ! Perché i ruoli vengono coperti naturalmente dal proprio carattere. Da quello che uno ha. Tipo, il lanciatore è quello che va al di sopra di quello che possono essere gli eventi, deve essere freddo mentalmente, se un compagno sbaglia deve fare come se non vedesse niente. Non deve avere emozioni, se non quello di attaccare il battitore lanciandogli la palla. Ci sono così tante posizioni e ruoli nel Baseball, lanciatore, ricevitore, prima base, seconda base, terza base, interbase, esterno sinistro, esterno centro, esterno destro, battitore, corridore, che risulta essere il gioco per eccellenza adatto a tutti, giovani, vecchi, alti, bassi, magri, grassi. In base al carattere ci sarà un ruolo nel Baseball che ti si addice, non solo per quanto riguarda il gesto tecnico ma adatto alle tue qualità umane, alla tua mentalità. I gesti fondamentali sono lanciare la palla, ricevere la palla, difendere il territorio, battere la palla e correre tra le basi.”

Quali sono le differenze tra i ragazzini di oggi e quelli di ieri ?

Oggi i ragazzini sono sempre più insicuri e fragili. Noi eravamo più ruspanti: si socializzava di più, si giocava di più. I ragazzi di oggi giocano sempre meno fra di loro: c’è il computer e delegano a questa macchinetta quelli che sono i loro pensieri e le loro frustrazioni e sono degli oggetti mentre una volta eravamo noi i soggetti e interagivamo con gli altri e facevamo di tutto e di più. Arrivavamo anche a casa ammaccati e i nostri genitori dicevano: <<Beh, hai reagito ? Bene ! Gliele hai date ? Bene ! Ne hai prese di più o di meno ? Beh, la prossima volta cerca di darne di più !>>. Questo era. Perché la vita è così, ti devi arrangiare, non ci dev’essere il genitore o la mamma che ti viene a proteggere. Te la devi cavare da solo.”

Dopo il campo dietro al Patronato dell’Arcella è stato costruito il campo al Plebiscito ?

Nooooo !!!! Quando i frati dell’Arcella dopo 2 – 3 anni non ci permisero più di giocare nel campo dietro al Patronato perchè non eravamo così … da Messa, trovammo un campo dietro alla Trattoria da Artemio, di proprietà della mamma della fidanzata di un nostro compagno di squadra, con cui la Signora non ci faceva niente. Le chiedemmo questo pezzo di terreno per costruirci una campo da Baseball. La Signora ci concesse il permesso di farlo. Andammo a Chioggia a prendere le reti da pesca, chiamammo i Pompieri che vennero a installarci la rete e spianammo sto campo, un dugout era dentro al fosso, per fortuna non pioveva mai per cui la squadra ospite non si allagava. E si giocava là. La squadra avversaria si cambiava nel campo di pannocchie, quello c’era, spogliatoi non ce n’erano. E abbiamo giocato là per anni ! Il campo era lungo 80 metri, con la rete, col monte, non avevamo la terra rossa ma solo terra da campo, la terra rossa non sapevamo neanche cosa fosse. Le squadre avversarie che venivano a giocare da noi e che erano fortunate perchè erano abituate a giocare sulla terra rossa, vedendo il nostro monte fatto di terra da campo ci dicevano: <<Che schifo !>> e noi <<Come che schifo ? Questo è il nostro campo !>>. Loro avevano le scarpe con gli spikes (scarpe con speciali tacchetti da Baseball), noi avevamo scarpe normali. Però avevamo una bella divisa bianca con il bordo nero e non giocando più all’Arcella ma fuori ci chiamammo Padova Baseball. E io sono uno degli ultimi fondatori rimasti di questa Società.”

Raccontaci di come e quando sei diventato Allenatore di Baseball.

“Eravamo ancora all’Arcella e la nostra Società e il nostro Allenatore Mirko Berti organizzarono un torneo di Baseball tra 4 – 5 squadre di quartiere e me ne affidarono una da allenare. I ragazzini a quell’epoca erano di una timidezza pazzesca (sarcastico), erano più furbi loro.. di me. E facemmo questo campionato tra quartieri. L’anno successivo mi affidarono una squadra Allievi, da allenare. Io dissi di sì. Cosa facevo ? Quello che facevo io in Serie C. Glielo facevo fare anche a loro. Mi ricordo di un ragazzo di cui ricordo solo il suo cognome, Riello, che era velocissimo a girare la mazza ma non beccava mai la palla. Feci di tutto e di più per aiutarlo, non riuscii mai a fargli battere la palla, pensa che brocco che ero ! (RISATA). Un’altra carissima persona che mi ha aiutato e insegnato tanto e che vorrei citare e con il quale ancora oggi ci ritroviamo ogni tanto è Riccardo Rodolfi, nostro compagno di squadra che è stato anche nostro Allenatore, al quale abbiamo sempre portato il massimo rispetto ed obbedienza, non abbiamo mai messo in discussione quello che ci diceva lui; sai, all’epoca non c’erano pitching coach e hitting coach, quando avevi un Allenatore era più che sufficiente. Nel 1975 la Federazione Italiana Baseball con Presidente Bruno Beneck ingaggiò per ogni regione un tecnico Americano e nel Veneto capitò Patrick Warren. E me lo ricordo ancora adesso e vorrei tanto rincontrarlo per ringraziarlo per tutto quello che ci ha insegnato. Era una persona eccezionale. Era un insegnante di educazione fisica e giocava in tripla A a Chicago. Una tecnica perfetta e una persona di un’umanità .. un uomo così .. ne ho conosciuti pochissimi. Favoloso. Venne una settimana a Padova. E poi lo seguimmo anche quando andò a Verona, allo Stadio del Baseball Gavagnin, che esisteva già. Partivamo da Padova con la mia nuova Prinz, detta ‘vasca da bagno’, color clementina ovvero arancione assieme ai miei compagni Pietrantoni e Benetton. Si faceva la strada normale, non l’autostrada, per risparmiare. Ci allenava e ci insegnava un sacco di cose nuove per noi ed era felicissimo di noi. E noi di imparare. Naturalmente prediligeva i miei compagni Pietrantoni e Benetton perché erano più bravi, però, insegnava anche a me. L’anno successivo Warren tornò in Italia quando la Società del Portogruaro organizzò per 2 periodi di 15 giorni in Agosto, credo il primo camp assoluto in Italia con l’Esercito che aveva fornito le tende, la cucina etc. Dal Lunedì al Venerdì, mattina e pomeriggio si giocava a Baseball. Al Sabato gita turistica e così vidi Pordenone, Sagittaria, Aquileia, etc. e la Domenica si andava al mare. E quindi dedicai tutto il mese di ferie d’Agosto al Baseball. Patrick alla fine del camp radunò tutti i tecnici, ci fece i complimenti e ne fece uno a me che non gradii più di tanto: <<Tu diventerai uno dei migliori pitching coach del Veneto>> mi disse. Ed io dentro di me: <<Accidenti, perché non ha detto d’Italia, in Veneto siamo in 4 gatti>> (RISATA) e me la presi a male (RISATA). Qualche anno dopo, a inizio anni 80, quando avevo ormai una certa età per lanciare, un dirigente mi disse: <<Beh, sai che è meglio se smetti di lanciare (RISATA), facciamo lanciare i giovani>>. <<Ok>> dissi e cominciai ad allenare e quando furono banditi i primi corsi di primo livello per diventare tecnico pensai di iscrivermi per diventare più bravo a giocare (RISATA). Ho il cartellino numero 18. Intrapresi questa carriera perché volevo sempre dare il meglio di me a questi ragazzi. Una cosa importante che ci tengo a sottolineare, che questi ragazzi nel Baseball siano bravi o non lo siano, che abbiano o possano avere un futuro come giocatori per me è relativo, magari sbaglio come Allenatore ma per me è importante che un domani riescano ad affrontare la vita, che siano degli uomini preparati, in questo cerco di aiutarli. Questo è il mio obiettivo, magari sarà arroganza la mia però la penso così.”

Se ti dico una data, 31 Maggio 1981, cosa ti viene in mente ?

L’inaugurazione del campo da Baseball al Plebiscito. Ricordo ancora bene quel giorno. Un campo da Baseball con l’illuminazione. Quando ci ripenso, ancora oggi faccio fatica a crederci ! Il campo fu costruito grazie all’aiuto dell’Assessore Regionale Pittarello della D.C.: <<Se ci votate vi faccio il campo da Baseball>> ci disse. Capirai se non l’abbiamo votato ! Eh ! E poi dobbiamo ringraziare Roberto Tommasin che ci ha fatto dei lavori pazzeschi. Pro e contro: siamo stati molto fortunati ad avere 2 Presidenti come Bellamio e Tommasin, persone eccezionali che ci hanno permesso di praticare questo sport a Padova. Dall’altro lato ci siamo un po’ adagiati e non ci siamo messi a cercare un aiuto, uno sponsor, forse anche per nostra incapacità, però più di tanto non ci siamo mai dati da fare. Soprattutto Tommasin ci ha fatto vedere il firmamento del Baseball Italiano. Bello, molto bello! Un grande spettacolo. Anche se io preferisco i giovani, il nostro futuro !”

Cos’è il Baseball per te ? Cosa ti ha dato il Baseball ?

Il Baseball è una droga ! Mi ha dato di tutto e di più ! Non riesco a fare a meno di allenare. Ormai ho una certa età e vorrei vivere così a lungo per poter assistere alla cerimonia di Laurea dei ragazzini ai quali oggi insegno il Baseball, vorrei essere sempre presente, anche quando si sposeranno e avranno figli, assistere alle loro gioie. E sono preoccupato perché nel momento in cui creperò spero che il buon Dio abbia provveduto a fare un campo da Baseball ! Sennò che cavolo faccio, caspita ? Senza Baseball cosa faccio ?
Per conquistare questi ragazzini, forse sarò stato fortunato, ma ci son sempre riuscito. Molto probabilmente perché risulto simpatico o esprimo fiducia, non lo so, ma bisogna saperli conquistare e se ti dicono di no, sai cosa gli dico ? <<Ah, vuol dire che non sei all’altezza di farlo ! Stai pure a casa>>. Allora si sentono feriti nell’orgoglio e dicono: <<Proviamo>>. Ho allenato dai bambini di 5 anni e ho fatto anche da babysistter (RISATA), tutte le giovanili e anche la prima squadra, ho fatto il Manager del Padova Baseball in Serie C quando siamo stati promossi in Serie B, bravi loro (i ragazzi) e poi abbiamo vinto anche il Campionato di Serie B. Sono stato picthing coach della squadra di Serie A con tutti lanciatori Italiani. Abbiamo vinto il Campionato di Serie A e anche la Coppa Italia. Eppure è vero, non si finisce mai di imparare e soprattutto di conoscere le persone. A me piace conoscere le persone, interagire con loro e soprattutto con i ragazzi che hanno bisogno di essere ascoltati e sentirsi valorizzati. Qualche volta urlo, mi scuso con loro e gli faccio presente che sbaglio anch’io, che ho sbagliato atteggiamento ma ricordo loro che un domani quando saranno nel mondo del lavoro e ci sarà uno peggio di me, un bifolco che li tratta male, devono imparare a reagire. Cosa fai, scappi ? Vai dalla mamma o dal papà ? Lo devi accettare. E soprattutto devi pensare: <<Perché mi ha detto questo ? C’è modo di migliorare ?>>. Magari la persona che ti rimprovera ci tiene a te, magari hai fatto un lavoro fatto male.”

Nel Baseball si sentono spesso le parole competere, competitivo. Tu come la vedi ? Ieri da giocatore e oggi da Allenatore ?

“Quando giocavo non pensavo mai alla competizione. Pensavo ad essere utile ai miei compagni, pensavo al gioco di squadra. Quello che cerco di insegnare: ognuno di noi deve cercare di fare il meglio possibile per aiutare il proprio compagno che è qualcosa che oggi si è un po’ dimenticato, ognuno pensa ai fatti suoi e ai propri interessi. E’ quello che manca anche nella nostra società moderna. Lavorare per gli altri e assieme agli altri. Un’altra cosa bella nel Baseball è che c’è sempre uno che vince e uno che perde. Il pareggio non esiste. Una volta giocammo contro una squadra Americana che era venuta a trovarci. Non mi ricordo per quale motivo finimmo la partita amichevole in parità. L’Allenatore Americano si infuriò. Io ero contento perché pensavo: <<L’ho fregato>>. L’Allenatore Americano non era contento della parità, una delle 2 deve vincere. Un’altra cosa che ho imparato dagli Americani è che anche nelle partite amichevoli dovresti far giocare i giocatori migliori, i più in forma, i più meritevoli. Nelle amichevoli noi eravamo abituati a far giocare le seconde linee per farli provare. No, chi sta in panchina se lo deve guadagnare il posto, ed è vero ! Meritocrazia, in Italia esiste ? No. Solo per raccomandazioni si va avanti. Tutti gli Americani che ho conosciuto mettevano in campo i migliori. Competizione non è una brutta parola, dipende da come la vivi e come gliela insegni. Dobbiamo essere competitivi tutti i giorni nella vita, negli affetti, per conquistare una ragazza che piace a molti, nel lavoro cerchi di usare tutte le tue armi per convincere quel cliente a comprare da te. Vincerai su alcune cose, su altre no, ma lo spirito di squadra e della società è questo e sono i migliori che devono andare avanti, ce lo insegnano anche gli animali ed è giusto che sia così altrimenti siamo destinati al fallimento. Per quanto riguarda i ragazzini, giustamente fai giocare tutti, che non è il contentino, gli dai la possibilità di potersi esprimere. Cerchi di gratificare tutti. Poi si sbaglia sempre, sai ? Però lo fai sempre involontariamente, in buona fede. E poi quando me ne accorgo chiedo scusa. E loro ti apprezzano, sai ? Ti apprezzano, si rendono conto che ci tieni e poi a distanza di anni quando mi vengono a trovare i ragazzi io mi sento come se vincessi ogni volta una World Series di Major League. E a distanza di anni li vedo felici quando mi vedono e vengono a salutarmi. In 47 anni di Baseball, prima ho allenato i padri e ora alleno i figli, 2 generazioni e spero di arrivare alla terza. Soprattutto per i ragazzi del Padova Baseball sono un punto di riferimento, un punto fermo, per loro sono una sicurezza, sanno che ci sono, sanno che possono contare su di me, per una parola, un consiglio, io ci sono e sono sempre pronto ad ascoltarli. Perché mi informo di loro, chiedo, come va, come non va.”

Quando hai vissuto il tuo apice come Allenatore ?

“Quando abbiamo vinto i playoff per andare in Serie B. Poi per 2 anni di fila abbiamo perso i playoff per andare in Serie A2. Anche se è stato merito dei ragazzi più che mio. Io avrò saputo gestirli ma sono stati loro ad andare in campo, io sono stato fortunato. E quando sono stato Manager dei Cadetti alle Regionali, mica li ho allenati io, ma ho avuto la crème dei giocatori del Veneto e tanto di cappello.”

Ho visto al campo che sali anche sul trattore da giardiniere, ecco spiegata la tua abbronzatura, la tua pelle olivastra. Personalmente ho ricevuto in privato dei complimenti che ti giro per come è tenuto il prato e in generale il campo da Baseball del Plebiscito di Padova.

“Sì ! Ho imparato anche a fare il giardiniere ! E’ diventata una passione ! Adesso se non vedo il campo in ordine mi scoccio. Alle volte faccio anche 10 ore al giorno. Ecco, vedi, sono un po’ maniacale, cerco la perfezione anche se la perfezione non esiste. E forse sbaglio, insisto anche con i ragazzi fino ad un certo punto: voglio che facciano il gesto tecnico nel modo migliore possibile perché ho avuto questo insegnante, Patrick Warren dai fondamentali perfetti per cui per tanti anni ho lavorato su questo aspetto. Poi, grazie ad una mia idea, incominciarono ad arrivare Allenatori e giocatori dagli Stati Uniti, veramente bravi, come ad esempio Matt Castello che compie gli anni oggi (18 Ottobre), che è stato Allenatore – giocatore per 2 anni da noi. Grazie a lui abbiamo vinto il Campionato. Allora vedevo che questi Americani sapevano fare di tutto e di più: i giocolieri con le palline, sapevano giocare a tennis, a stecca. E mi spiegarono che loro a scuola fanno tanti sport. In ogni periodo dell’anno fanno uno sport. Pensai che la preparazione fisica è più importante di quella tecnica perciò cominciai ad insistere in Società per avere un preparatore atletico che prima non c’era. E poi ho puntato sempre più sull’aspetto mentale perché è la mente che ti fa reagire o recepire certi messaggi. Se sei pronto e se lo vuoi, anche se non hai queste gran qualità fisiche puoi diventare un campione. Nel Baseball il credere in se stessi, l’autostima è fondamentale. Bebe Vio è da ammirare: ci fa capire quanto è bello vivere ! Noi siamo troppo egoisti, non abbiamo ancora capito il valore della vita, lei sì e ce lo dimostra ogni volta, ogni giorno. E poi vedevo anche oggi su Facebook, me l’hai mandato tu, Jim Abbott, sai che l’ho conosciuto ? Perché è venuto anni fa con la Nazionale Americana Dilettanti a Verona. Alla fine della partita vado per chiedergli l’autografo e me ne stavo quasi già pentendo. C’erano dei bambini davanti a me, prima di me, che aspettavano l’autografo di Jim e non volevo prevaricare questi bambini e mi son messo in fila ed ero l’ultimo. Insomma, te la faccio breve, arriva il mio turno e sai cosa mi ha detto ? <<No, (non ti faccio l’autografo) perché sono stanco>>, l’avrei ucciso (RISATA). Però, pensa alla grinta e alla voglia, sono loro che ci dimostrano come devi affrontare la vita, nonostante le avversità. E chi è stato in un campo di concentramento ? Hanno più voglia di noi di vivere ! Pensa a quello che hanno patito.”

Qual è stato il momento più alto del Baseball Padovano ?

“La Stagione 2015, indubbiamente, quando Khelyn Smith ci portò ai playoff di IBL (Italian Baseball League), il massimo Campionato Italiano. Khelyn è un grande amico. Una gran bella persona, molto umana. Ci sapeva fare anche con i ragazzini.. molto bravo ! Ho avuto anche dei diverbi con lui perché non sono pane da fare ostie neanch’io però l’ho sempre rispettato e gli ho sempre voluto bene come un figlio. Ricordo un episodio successo anni fa a Verona. Corso di 1° livello, ero direttore ed istruttore del corso. Invitai Khelyn come istruttore degli interni. Finito il corso uscimmo e camminammo per andare alla macchina. Khelyn vide un negozio di barbiere gestito da ragazzi di colore e mi disse che voleva tagliarsi i capelli. Gli risposi di no perché a mio avviso non mi davano fiducia. Insistette e per cui entrammo, lo fecero accomodare sulla sedia e procedettero con il lavoro. Naturalmente la mia impressione si rivelò completamente errata, erano gentilissimi e furono professionali. Ad un certo punto il tipo che stava tagliando i capelli a Khelyn mi chiese se fosse mio figlio. Gli risposi di no, purtroppo.. magari ! È stato uno dei migliori complimenti che abbia mai ricevuto. Il Padova Baseball con Khelyn Smith ha raggiunto l’apice della sua storia, senz’ombra di dubbio. Mi dispiace ancora oggi di aver sentito con le mie orecchie quello che fu detto di lui in diretta R.A.I. durante quei playoff, in maniera reiterata. Ahimè, in Italia siamo pieni di ‘giornalisti’ irresponsabili.”

Cosa ne pensi dei recenti cambi di regolamento in Major League Baseball atti a diminuire la durata media delle partite in cui i cambi campo adesso durano solo 90 secondi ? E del fatto che le visite sul monte ora durano al massimo 30 secondi ? E del numero limitato di visite sul monte (6) ?

“Son d’accordissimo. Sai cosa dico ai ragazzini ? Mai camminare, sempre di corsa. Il Baseball è l’espressione pura della velocità. E sarà sempre più moderno perché il mondo sarà sempre più veloce. Devi essere veloce non solamente nell’azione, soprattutto nel pensare a reagire. Devi reagire in un decimo di secondo. Tiro di qua o tiro di là ? Diceva Hemingway: <<La corrida un giorno non si farà più ma il Gioco del Baseball non finirà mai, esisterà per sempre>>. All’inizio nel Baseball il lanciatore lanciava da sotto, non da sopra, l’arbitro era seduto su uno sgabello, come divisa aveva il cilindro e il frac a redingote ed era lui che chiamava i lanci, il monte non esisteva, c’erano più lanci degli ora tradizionali 4 ball o 3 strike, erano molti di più, in un periodo si arrivò ad 11 lanci; il gioco all’inizio veniva giocato dai marinai a mani nude e non esisteva il guantone, ecco perché la tecnica dell’assorbire la palla, di fare tipo un’aspirapolvere, di portarsi il guanto verso il braccio di tiro, la palla era della stoffa impeciata per cui se stavi duro ti facevi male evidentemente, per cui erano costretti a fare il gesto di assorbirla, per attutire l’urto. In tutti questi anni c’è stata qualche modifica. Da noi si usa il tie-break, per accorciare i tempi, io sono un tradizionalista, sarò vecchio, non lo farei, vai a letto alle 2 ? Amen. Secondo me il tie-break falsa. Però bisogna anche seguire i tempi.”

Cosa auspichi per il futuro del Baseball Italiano ?

“Non ho mai seguito la politica e i giochi di Palazzo. Un Campionato di IBL a 8 squadre serve a poco. Gli stadi sono vuoti, non andiamo in TV e anche se le partite fossero trasmesse in TV le guarderebbero 4 gatti. Noi scriviamo ma è un circolo vizioso, siamo sempre noi che leggiamo. E’ un meccanismo asfittico. Non c’è mai l’arrivo di gente che porta idee, novità, è sempre un circuito chiuso. Credo che per aumentare la visibilità del Baseball Italiano bisognerebbe cercare di allargare la base delle Società di Serie C e da lì costruirei la piramide. Se i Presidenti delle Società invece che pensare di comprare e di rubarsi i giocatori pensassero a sviluppare il Baseball sarebbe meglio. Il profitto di un’azienda è rappresentato dal denaro; il profitto delle Società sportive è rappresentato dal numero dei tesserati. Più ne hai, meglio è. Ne hai in esubero ? Non ce la fai ? Costruisci e fai in modo che cresca un’altra Società che è tua satellite. Io sono stato il primo, penso, nel Veneto, a pensare alla Franchigia, quando nacque la Società del Limena Baseball, c’era ancora Bellamio Presidente: perché non fare nostra il Limena ? E’ una zona a distanza da noi, è un bacino di utenza in un’altra zona. Noi siamo in Serie B, loro in Serie C. Andiamo su di categoria noi ? Beh, al limite facciamo crescere anche loro in modo che ci sia uno scambio e ci sia un aiuto. Questo dev’essere il compito dei Presidenti. Si lamentano i genitori: <<100 Km per fare una partita ?>>. Beh, perché non facciamo in modo che tra una Società e un’altra ne costruiamo una terza ? Magari di Km ne faremmo 50 anziché 100. E ci sarebbe una Società in più. Questo dovrebbe essere l’obiettivo. Devi preparare tecnici ! Bene. Hai tecnici in esubero ? Bene, vai in quella parrocchia, vai in quella Società sportiva, cerchiamo di seminare il Baseball. Questo dev’essere l’impegno. E invece ci freghiamo da soli pensando che il Baseball è figo e tutti vengono a giocare da noi. Ma se non ci conoscono neanche ? Se non sanno nemmeno dell’esistenza della Società di Baseball ? Chi vuoi che venga da noi ? Bisogna far pubblicità e seminare di continuo.”

Raccontami di quella volta che ai try out di Major League a Tirrenia conoscesti Rod Carew.

“Bei tempi ! Anni fa, a Tirrenia vennero organizzati i try out della Major Leauge per i migliori prospetti dell’Europa e dell’Africa. Vidi ragazzi dal Kenya, Sud Africa e Tanganica, bravissimi ! Conobbi personalmente Rod Carew, uno dei migliori battitori di sempre di Major League, Hall of Famer, gli strinsi la mano, non mi sembrava vero, ero al settimo cielo ! Che botta di culo ! Ma sai, i Campioni veri non hanno bisogno di essere strafottenti o presuntuosi con gli altri perché hanno delle qualità umane che li rendono ricchi. Lì ho avuto il piacere di conoscere Alex Liddi e Alessandro Maestri: quando c’erano questi allenamenti e questi tecnici Americani che naturalmente parlavano in Inglese (io non so una H di Inglese) loro gentilissimi mi hanno sempre tradotto. Li vedo ancora adesso e in me sembra che vedano Tommy Lasorda, io che sono l’ultimo arrivato di questa Terra. I Campioni sono Campioni dentro ! A Maestri diedi un consiglio sulla palla curva e sai cosa mi rispose ? <<Ci provo appena ne parlo con il mio pitching coach>>. Avrebbe potuto non calcolarmi o rispondermi male. Chi sono io per dare consigli ad un Campione come Alessandro Maestri ? Nessuno. E invece i Campioni ascoltano ! Perché poi fanno tesoro di quello che gli viene detto, se va bene o no. Loro non rifiutano mai a priori. Ascoltano. Dobbiamo ascoltare. Dobbiamo imparare ad ascoltare.. e a riflettere naturalmente.”

Qualche aneddoto agli inizi della tua carriera da lanciatore ?

“Conegliano. Serie C. Naturalmente erano più le partite perse che quelle che si vincevano. Finita la partita, persa, di solito non ci si salutava con la squadra avversaria alla fine della partita. Ognuno se ne andava per i cavoli suoi. Contatti non ce n’erano. Eravamo in un bar a mangiare il panino dopo la partita e c’era anche la squadra del Conegliano. Io ero seduto da solo e vedo da distante un ragazzo che mi guarda con una certa intensità e dentro di me dico: <<Vuoi vedere che viene da me a dirmi che sono stato bravo ? Che sono bravo ?>>. E insomma lo guardo come per dire, ti puoi avvicinare, si avvicina e mi fa: <<Ti posso fare una domanda ?>>. E io dentro di me: <<Siii !!!>> speranzoso. E mi fa: <<Ma come fai a lanciare così piano ?>>. L’avrei ucciso. (PAUSA) Come fai a lanciare così piano ? Io che ce la mettevo tutta. Ti dirò, non mi sono mai considerato un lanciatore: per me un lanciatore è uno che lancia veloce. Sai qual era la mia dote ? Il controllo ! Era mettere la palla dove volevo, dove me la chiamava il ricevitore e poi avevo una buonissima palla curva. Quella era la mia dote ! Nella mia carriera di 15-17 anni di lanciatore avrò subito solo 5 fuoricampo. La palla era così lenta che per buttarla fuori dovevi avere due braccia come due cannoni ! E basi su ball pochissime. La mia dote era quella di mettere la palla negli angoli, il controllo, mi concentravo più sulla precisione dei lanci che non sulla velocità. Potenza non ne avevo (RISATA). Non era una curva classica da ore 12 a ore 6 ma tagliava il piatto, rientrava. Altro aneddoto. Campo di Artemio. Squadra avversaria Monfalcone. Io sul monte di lancio. La squadra avversaria non riesce ad andare oltre la prima base perché vengono eliminati. Il Manager ad un certo punto esce dal fosso (il dugout era nel fosso) e comincia ad urlare: <<Come fate a non battere contro quel buono a nulla del lanciatore ?>>. E io sento. E ancora: <<Beh, vi dimostro io come si fa !>>. E’ andato nel box di battuta. Vuoi sapere com’è andata a finire ? E’ rimasto al piatto ! Non ti dico la mia esultanza, che non era mia abitudine. Ho saltato da tutte le parti. Perbacco, te l’ho fatta, antipaticone ! Altro aneddoto: una delle mie primissime partite. Classico. Da manuale. Questo ricordo ce l’ho ancora bello vivo, nitido nella mia memoria. Giochiamo in casa. All’Arcella. Contro Udine. Ora Buttrio. Parte alta del nono inning. 2 out. Basi piene. Conto pieno: 3 ball e 2 strike. Il ricevitore mi chiama il lancio. Carico, rilascio, il battitore sventola a vuoto e la palla finisce nel guantone del mio compagno. Strike out. Finita la partita. Vittoria !”

Gianni, a cosa pensano i lanciatori di Major League prima di tirare la palla ?

“Non pensano a niente, i battitori li hanno già studiati e fotografati prima della partita, studiano il carattere dei battitori anche da come camminano o da come si presentano al piatto. Cercano di carpire qualche difetto, anche nel carattere, per trovare il modo di eliminarli. La concentrazione conta molto: i lanciatori di Major League non sentono NULLA di quello che accade intorno.”

E’ vero che se una squadra di Serie A va in campo deconcentrata contro una squadra di Serie C motivata, carica, la squadra di Serie A le prende di brutto ?

“Sì, è così il Baseball. Io ho visto delle squadre che non avevano una gran tecnica ma avevano una grinta, una voglia che superavano anche gli altri che erano più quotati. Quando si ha passione e grinta dentro superi ogni limite. Poi magari puoi avere male alla fine della partita ed essere dolorante ma quando ce la metti tutta, caro mio, freghi chiunque.”

Oggi in Italia, in Serie A1 si gioca con il battitore designato quindi il lanciatore non partecipa alla fase d’attacco e c’è un battitore che va a battere per lui. Ai tuoi tempi c’era il battitore designato ?

“No, non c’era e andavo a battere. Non ero sto granché di battitore. Giocavo al CUS PADOVA, nel 1983, in una partita ero alla battuta, colpisco la palla, era come se non l’avessi colpita e la vedo che si alza sempre di più, incomincio a correre e dentro di me: <<Nooo, il mio primo fuoricampo !?>>. No. Palla di rimbalzo e uscita dal campo. Doppio. Era meglio se non pensavo magari andava fuori. Al massimo ho avuto .200 di media battuta, a farla grande.”

Ho letto che fosti il primo tecnico in Veneto ad introdurre la meccanica di battuta di Jim Lefevre, uno dei più grandi hitting coach Americani.

“E’ vero. Il Bellamio Baseball organizzò una trasferta in Canada con tutti i migliori del Veneto a spese di Bellamio. Non ci andai perché avevo problemi di lavoro. Andrea Zuin acquistò e portò a casa un libro sulla meccanica di battuta di Jim Lefevre. Il libro fu tradotto dalla sorella di Roberto Cabalisti. Mi fu affidato l’incartamento e dattilografai il tutto con una Olivetti 32 che posseggo ancora. E da là imparai e trasmisi ai giocatori. Fummo i primi nel Veneto noi del Padova Baseball. Successivamente conobbi Jim Lefevre ed ebbi la possibilità di vederlo al lavoro per tre anni consecutivi a Tirrenia oltre che a due convention. Conobbi anche il figlio.”

Perchè consiglieresti di giocare a Baseball

“Primo perchè è diverso, anche come disposizione degli avversari. Negli altri sport devi mettere la palla nella rete avversaria per fare il punto. Nel Baseball è la difesa che ha la palla e il lanciatore assieme ai suoi compagni deve eliminare gli avversari ed evitare che invadano il territorio. Tutto quello che è diverso è speciale per me. Come nella vita dove affronti le cose da solo e devi essere in grado di reagire: questo ‘disgraziato’ di lanciatore della squadra avversaria che cerca di fare di tutto e di più per eliminarmi e tu devi essere più sveglio e più furbo per cercare di arrivare in base. E i tuoi compagni ti devono aiutare ad andare avanti perché è importante segnare quel punto o più punti perché ti permetteranno di vincere. Più punti fai e più hai la possibilità di vincere. E poi perché non c’è solamente la parte tecnica e la parte emozionale ma c’è anche la parte mentale, anzi direi che è predominante nel Baseball: devi riuscire a far le cose in pochi secondi, devi avere la capacità di reagire, di essere condizionato dal fare questa o quell’altra scelta ? Che sia giusta o sbagliata, devi fare una scelta in una frazione di secondo. Dopo me ne assumo le responsabilità, come è giusto. Una cosa che sbagliamo noi tecnici: quando si avvicinano questi bambini li torturiamo dal punto di vista tecnico, gli facciamo subito pensare che il gioco del Baseball è difficile, che non è vero, è complesso, che è diverso da difficile. E quando sono in battuta gli diciamo metti le mani così, i piedi colà, i gomiti così. Sai cosa dico io ? Gira la mazza e colpisci la palla e dopo al limite ti darò dei consigli, qualcosa per aiutarti ma intanto prova ! Si deve andare per gradi. Un po’ alla volta. Ci vogliono anni per diventare un bravo giocatore di Baseball. Per avvicinare i ragazzini al Baseball, le scuole sono importanti e per lungo tempo mi feci una domanda: se mi chiedessero di andare in una scuola primaria a insegnare ai bambini come insegneresti ? Io pensai che avrei iniziato mostrando loro cartoni animati riguardanti il Baseball. Anni fa a Schio fu organizzato il primo clinic su come insegnare nelle scuole. Mi si aprì un mondo pazzesco e fantastico perché questo insegnante, che conosco, Sergio Piccinini, attraverso dei giochi che non avevano niente a che fare con il Baseball, dopo due ore aveva insegnato a giocare a Baseball a dei bambini della scuola primaria. Entusiasti. Davvero entusiasti ! Tu non insegni niente. Gli fai fare dei giochi con i quali ad un certo punto loro capiscono la dinamica, la strategia del gioco. Due anni fa c’era la Festa dello Sport a Schio e dei miei amici mi invitarono in questa scuola e naturalmente sulla base di questo trovai un ragazzo che disse ai suoi compagni: <<spostatevi da una parte perché questo batte di là piuttosto che da un’altra parte>>. Averne dei ragazzi così da noi. Lui aveva già capito la dinamica, la strategia. In base al lancio ti sposti, in base al battitore e lo guardi, lo osservi, la partita non inizia con il primo lancio, inizia prima ! Li devi guardare questi avversari se vuoi essere più sveglio e te li devi studiare. E fai di tutto e di più per carpire informazioni utili per il tuo successo. Stare attenti ai particolari. E’ una cosa importante: osservare. Devi studiare un avversario non solo dal punto di vista meccanico ma anche come cammina, per studiarlo soprattutto dal punto di vista caratteriale, lo vedi già, come si muove, che aspettative ha nei tuoi confronti. E’ uno studio psicologico il Baseball. E’ stupendo ! Venite a provarlo ! Venite a vedere una partita ! Ve ne innamorerete e non lo lascerete più !”

Gianni, cosa faresti un giorno se non riuscissi più ad allenare ?

“Andrei a fare assistenza agli anziani perché i bambini e gli anziani sono quelli che hanno più bisogno di essere aiutati dalla società. Sono due categorie che devono essere super protette: i bambini e gli anziani.”

E per finire: c’è qualcosa che ti spaventa ?

“Mi terrorizza la possibilità che dopo questa vita ci possa essere un tempo infinito. Mi terrorizza questo infinito pazzesco, questo universo che non finisce mai. Questa eternità mi dà fuori di testa. Il nostro tempo è scandito da un orario, da certi ritmi. Ti trovi nell’aldilà in cui non c’è un orario, non c’è il tempo, il tempo non esiste più ? E’ qualcosa di pazzesco che mi fa andare fuori di testa. Per me nell’aldilà non c’è niente. Vorrei invece che ci fosse un campo da Baseball, una mazza, una pallina, un guanto e qualche giocatore ‘sfigato’ che ho allenato io, poveretto, ‘sfigato’ perché l’ho allenato io (RISATA).”

Caro Gianni, ti auguro di allenare ancora 6 generazioni di ragazzi che amano il Baseball e spero che tu viva 200 anni e io 200 anni meno 1 giorno così non saprò mai che belle persone come te se ne sono andate.