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Gli Immortali del Baseball Italiano: Intervista a Claudio “Caio” Mattielli, una vita per il baseball

27 Lug , 2022  

di Federico Sangregorio

Una chiacchierata tra due bollatesi posseduti dalle 108 cuciture, una passione che in due, raggiunge gli 80 anni. Ecco le parole di Claudio “Caio” Mattielli”.

-Parliamo della tua carriera, che è un po’ una storia infinita di amore per il batti e corri. Infatti a Bollate gira la leggenda che quando hanno costruito il campo, tu eri già lì che li aspettavi. Quando e come hai iniziato ed in quali squadre hai giocato? I personaggi chiave del baseball italiano?

“Ho Iniziato nelle Giovanili del Bollate sotto la guida di Guido Soldi che fu il pioniere del Baseball a Bollate, anche perchè lui in quel periodo ancora giocava e quindi la formazione era quella iniziale che ha iniziato a Bollate nel 1959; giocavamo ancora al campo del Milani, chiamato così perché il custode era appunto un certo Milani (si trovava in Via Piave vicino a dove oggi sorge l’ospedale). Da un un velodromo è stato trasformato per la metà in campo da baseball, e fu il primo vero campo di Bollate. Io avevo compagni di squadra come Bortolomai (con cui successivamente, insieme anche a Marco Borroni, formeranno “I Pudiga Bombers”, ma questa e’ un’altra storia), Paolo Re, tutta gente di un certo livello che qui hanno raggiunto pure loro la massima serie e oltretutto sono riusciti a entrare dentro al giro della nazionale. Successivamente ci si è spostati nel centro sportivo di Bollate in via Verdi, che fu costruito come vero campo da baseball, avevo circa 16 anni (fine anni ’60, Caio e’ del 1953 ndr) ed ho cominciato a giocare con la prima squadra, ed ovviamente facevo il rookie. Ed essendo io catcher, mi toccava di ricevere il mondo; quindi tutti i lanciatori. Ogni tanto mi veniva concesso di giocare qualche inning. Ricordo contro il Bologna, con Gaetano Marazzi sul monte, che siamo andati a vincere 7 a 1. Era la famosa squadra sponsorizzata Dal Monte e siamo riusciti a fare una partita da incorniciare, dove ho avuto delle belle soddisfazioni, ho fatto grandi eliminazioni sulle basi, soprattutto corridori molto veloci. Eliminai Meli in seconda addirittura con trappola. All’epoca ero dotato di un braccio notevolissimo (anche oggi a quasi settanta anni Caio tira delle fiamme memorabili). Grazie a prestazioni come questa, sono entrato nel giro della nazionale; Morgan, che era un americano che militava qui in Italia, era stato prescelto come tecnico della nazionale e soprattutto nel settore giovanile, è venuto al campo a Bollate. Ha visto che in quell’occasione feci tre fuoricampo e rimase impressionato, così mi sono guadagnato il posto nella nazionale giovanile, di cui poi ho una foto memorabile ad un torneo nel Connecticut. Io sono andato nel 1971 in America (torneo in Connecticut) e penso che sia stata una delle squadre più incredibili di baseball; le giovanili erano composte da persone come Massellucci, il bomber di Grosseto, Formia di Parma, Bortolotti del Ronchi dei Legionari… cioè tutti i personaggi di una notevole caratura, che poi hanno fatto una grande carriera. Questa è stata una grande soddisfazione. Nel senso che io la giovanile l’ho fatta tutta nel Bollate, ed a suo tempo eravamo del livello di Nettuno, Parma, Rimini; è stato un periodo molto felice a livello di baseball, sia per la crescita e anche perché quando uno va in nazionale la differenza la vedi. Perché effettivamente apprezzi cose nuove, sia come mentalità che come metodo. Poi è successo che sono stato espulso dalla squadra perché in una partita tirata col Bologna, non facevo molto il tifo durante l’attacco; ma sostanzialmente ero come tutti gli altri nel dogout; cioè si stava perdendo e nessuno era dell’umore di incitare la squadra. Avevamo un allenatore che già mi aveva preso di mira e mi ha usato come capro espiatorio.

Io avevo un fratello che praticamente è diventato poi il presidente onorario di questa nuova squadra appena fondata, che si chiamava Rabbit (in quanto il fondatore dello sponsor allevava conigli), successivamente divenne poi il famoso Rayo. E’ stata una fondazione storica, partendo dal nulla siamo riusciti ad arrivare ai play off già durante la prima stagione. Dopodiché il Lodi mi ha contattato e ho giocato un anno a Lodi, poi ho giocato sia nel Caronno che nella Rhea Vendors, che adesso non esiste più. In seguito sono stato chiamato nel 77-78 dal Codogno dove ho fatto due stagioni con lo scomparso Gianni Clerici che è stato un po’ un mio maestro, é stato un grande lanciatore, un mancino che all’epoca aveva fatto registrare addirittura record di strike out, 18 in una partita contro il Bologna. Tra l’altro fu lo stesso giorno in cui si infortunò seriamente al braccio e successivamente si è dedicato a fare il l’allenatore chiamandomi a Codogno, dove come a Bollate si respira baseball. Poi sono tornato a Bollate nel 1980 quando Bruno Bertani ha riformato la squadra, riportando Gianni Clerici che mi ha richiamato. C’erano molti giovani ed altri ne ha chiamati di bravi anche da Milano e da altre società limitrofe e abbiamo ben figurato da subito. Ricordo il grande amico Glan Bagerly, ottimo giocatore ma soprattutto battitore fortissimo. Glen era giovanissimo però venendo dagli USA ha dato un apporto fondamentale alla squadra, che era appunto molto giovane, sia dal punto di vista tecnico che ambientale. Poi sono arrivati gli sponsor, la Subalpina, che ci ha dato la possibilità di crescere.

Prima la Nord Italia che è subentrata quando io ero ancora ragazzino è c’erano ancora i famosi Soldi, ed è stato il primo sponsor importante che siamo riusciti ad avere, permettendoci di prendere anche dei giocatori provenienti da fuori, anche americani, tra cui Ray Coston. Ray praticamente mi ha insegnato l’arte del ricevere perché lui in allenamento lanciava, ma non in partita essendo americano ed io gli facevo da catcher. Aveva dei lanci mai visti prima. Addirittura gli ho visto tirare un lancio che nel baseball non lancia nessuno: il Rise, una palla a salire, una curva al contrario. In una partita all’Arena, che hanno organizzato contro la nazionale cubana, lui ha vinto; ricordo che riceveva il il Gigi Cameroni. Ray Coston non gli ha fatto vedere palla, una partita finita forse 1-0, una cosa del genere. Oltretutto aveva fatto i trials negli USA per entrare nei centometristi, quindi era dotato di una velocità spaventosa. Essendo mancino e battendo molto forte, appena toccava la palla era già praticamente salvo in prima. Quindi poi prendeva un po’ in giro lanciatore, perché lui era imprendibile sulle basi. Anche quando lo intrappolavano lui aveva quasi sempre la meglio sulla difesa”.

-Gli altri atleti a cui ti sei ispirato?  I piu’ forti che ricordi?

“Dallospedale, ex giocatore di Parma. Poi un grandissimo terza base che faceva parte appunto di quel Parma era German. Sal Varriale nel frattempo era arrivato in Italia, un grande, un fenomeno nel suo ambito. In quegli anni arrivavano personaggi di grandissima levatura da noi. Ricordo anche Manzini, che era prima un lanciatore poi diventato anche un battitore fortissimo, molto temibile. Però Giorgio Castelli è stato il mio vero esempio e mentore. Lui era un ricevitore fortissimo, aveva una media battuta vita sopra il 400 ed ha infranto ogni record possibile e immaginabile. Lui era decisamente la perfezione, lo guardavo molto anche nell’impostazione, gli avversari non sapevano mai cosa tirargli. Con la sua tempra molto nervosa, riusciva sempre a prendere il tempo con una girata esplosiva Io ho portato il numero 24  come lui da allora. Non è una casualità che avessi il 24 perché proprio era mio mito, aveva fatto lo sprint training con Jonny Bench (per i piu’ giovani ricevitore dei Reds per tutta la carriera, 14 volte All StarGame, due volte MVP della NL, due World Series). Era un corridore velocissimo, un atleta in tutto e per tutto quindi non sono un battitore, ma un atleta completo. In assoluto quindi Giorgio Castelli (e qui traspare dai suoi occhi una sincera ammirazione e stima) poi avrei un elenco talmente lungo che potrei tenerti qua tutta una giornata. A suo tempo in qualsiasi tipo di squadra potrei menzionarti dei fenomeni. Ecco da ragazzo sono stato molto impressionato all’arrivo di Carlito Guzman, che era guatemalteco, poichè non aveva un grande fisico ma aveva una velocità, un nervo che mi ha molto sorpreso. Velocissimo in tutti i sensi, io è lì che imparato essere dinamico come catcher, perché in campo deve essere quello  più dinamico in assoluto e Carlito mi ha insegnato proprio questo, delle nozioni a livello tecnico, il modo di agire e di muoversi. E sicuramente lui, forse più di Castelli, che era più atleta, era quello che io volevo emulare come catcher. E’ stato un grande amico oltretutto ha allenato anche qui a Bollate quindi devo anche molto da quel punto di vista a lui. Un altro fenomeno poi era anche Stimac del Grosseto”.

-Nella tua carriera di sicuro ha portato a casa qualche trofeo. Quali e quali sono le partite e le sfide che ricordi meglio?

“In assoluto un bel ricordo è stato un torneo che abbiamo fatto a Barcellona in Spagna, in cui io sono venuto a casa con 4 coppe, penso che sia stato il mio massimo realizzato. Poi i vari premi acquisiti anche nel Codogno, però quelli particolari sono stati il miglior giocatore, miglior battitore e uomo squadra”.

-Un Mvp praticamente?

“Esatto E non per ultimo essere capitano, perché lo sono statoda quando è nato il Bollate fino a quando non sono venuto via, quindi per 24 anni”.

– Ancora il 24, non è un caso eh?!

“No non è un caso dal 1980 fino al 2004, 24 anni come il numero che ho sempre portato!”.

– Tu sei uno dei pochi che è passato da dietro al piatto al monte. Qual è stata la tua batteria preferita ed i compagni di squadra che ricordi volentieri?

“Innanzitutto vorrei dire che, a parere mio, ho raggiunto l’apice da ricevitore intorno ai quaranta anni, in quanto il catcher è un ruolo evolutivo. Più giochi e più acquisisci esperienza. Diciamo anche grazie alla mia costanza nel migliorarmi. Perché il problema è quello: eliminare l’errore. Che non vuole dire che nessuno ne commetti, ma se tu lo individui, lo isoli, poi lo devi cancellare. Allora tornando la batteria che ho preferito… direi la coppia MM formata da me e Marazzi. Mauro Marazzi purtroppo non c’è più, era era un grandissimo amico, siamo cresciuti insieme dai tempi del Codogno e poi siamo venuti a Bollate. Lui con me è cresciuto molto e devo dire che aveva caratteristiche incredibili. Mauro aveva – la si chiamava così – la curva e contro curva che non aveva nessuno. Ci capivamo a livello mentale, telepatico, non era più una questione di chiamata di lanci perché sapevamo già dove andare a parare. Quindi era talmente immediata il nostro feeling mentale che era una cosa pazzesca. Mauro mi faceva impazzire i battitori del calibro di Bianchi. Un marchio di fabbrica bollatese, ma suo in particolare. Cioè tu dici io lo so che tira lo so che lo tira ed io non la prendo. Come Mariano Rivera: so che tira una cutter ed io non la prendo. Sapevi che il Mauro lanciava uno slider e te lo mancavi. Mauro mi è rimasto nel cuore in tutti i sensi…per me (e scende la lacrima ad entrambi ndr). Qui Caio si interrompe un attimo, l’emozione è forte per entrambi. Ricomincia… Mauro era una persona estrosa, solare, buono come il pane, la sconfitta era solo una esperienza negativa da cui trarre insegnamento. Aveva un positività incredibile, ma soprattutto la trasmetteva a tutti. Noi siamo stati un gruppo molto molto coeso. Nessuno faceva il professionista, il nostro impegno ogni sera era prendere la borsa andare al campo fino alle 11 di sera e mangiare a mezzanotte. Giocavamo ad armi pari, perché noi tiravamo fuori tutto il meglio che avevamo, con Parma, Grosseto, Milano. Ricordo che una volta Mauro disse a Carlito, all’epoca allenatore Parma, che gli avrebbe portato via entrambe le partite. E così fu, vincemmo gara 1 e gara2. Però vedi, anche se tanti sono poi diventati avversari, il baseball crea questo legame indissolubile, siamo tutti una grande famiglia. Ho tantissimi amici sparsi ovunque che ora, grazie ai social, riesco a sentire con facilità. Questa è la cosa più bella, chi non ha mai giocato a baseball non può capire. Un collante, un qualcosa che ti entra dentro, una malattia, che crea una fratellanza quasi di sangue, qualcosa di indissolubile.  E rimane nel tempo. Poi, a 50 anni ho cambiato ruolo, più che altro per necessità vista la carenza di lanciatori, e quindi bisognava ingegnarsi. Io avendo ancora il braccio abbastanza integro (e ad oggi tira ancora delle fiamme) riuscivo arrivare anche velocità abbastanza notevoli, con una palla veloce registrata a 87 miglia a 50 anni. Inoltre avevo avevo un massimo controllo della palla, essendo stato ricevitore, quindi sapevo dove metterla.  Mi sono prestato al ruolo visto che stava subentrando un certo Lorenzo Selmi che faceva il ricevitore. Purtroppo anche lui non c’è più, era del 1980 – come chi scrive – ragazzo che è cresciuto molto con noi Lorenzo. Lui ci metteva un grande impegno, immenso, non avendo delle grandi doti naturali se le è costruite col lavoro. Ed è migliorato sempre di più nel tempo. E quindi io praticamente mi sono trovato in batteria con Lorenzo, chiudevo le partite che l’americano che avevamo allora, non riusciva a finire. Di solito è l’allenatore che decide questo, ma in accordo col giocatore.  Avevamo Sergio Radice come allenatore e quando l’americano decideva di non averne più veniva da me e: ”Caio sei pronto?” facevo due lanci e via, ero già pronto sul monte. Il primo anno, nonostante fossi un rilievo, ho fatto 56 strikeout e non so quante partite vinsi. A fine carriera poi quando, purtroppo ci siamo un po’ disuniti, io ed i fratelli Leonesio (Davide e Luca)  siamo andati a Senago.  E anche li e stata una nuova avventura, sempre stimolante perché io ho fatto closer ed il catcher e successivamente solamente closer. Nella parte finale della mia carriera è arrivata l’esperienza a Rho, dove sono riuscito, insieme ai miei compagni, ad arrivare due volte i play-off. Posso dire che dal punto di vista “baseballistico”  mi sono preso delle grandi soddisfazioni”.