Racconti

HR contro Hitler

21 Giu , 2018  

di Beppe Carelli

Se mai c’è stato un aggregatore di etnie, come viene riportato dalla storia, si può dire tranquillamente che il baseball ha assunto il ruolo di tramite, di filo conduttore, di vero e proprio collante. Il sigillo creato dall’Old Game tra le generazioni di immigrati e il tessuto sociale americano, si è sempre più rafforzato col passare degli anni fornendo quella diversificazione che tanto caratterizza l’America dei giorni d’oggi.

Oltre alla sofferta integrazione dei Negri nel baseball organizzato, ve ne fu un’altra non meno importante ma tanto oscura da essere ancora oggi ricca di fascino e mistero. Si tratta dell’avvento nel baseball di atleti di origine Ebrea. Sebbene non vi fu una vera e propria segregazione come quella dei giocatori di colore, anche gli Ebrei ebbero molto da soffrire per poter rivendicare ed essere riconosciuti come gruppo etnico, tenendo conto del loro desiderio di inserirsi nella vita sociale e culturale americana.

Ma se non giochi a baseball non potrai mai essere americano. Ed ecco che i primi giocatori ebrei spuntarono già all’alba delle origini dell’Old Game. Lipman Pike nel 1866 diventò il primo atleta ebreo nella lista dei Philadelphia Athletics. Fu il primo ad ottenere un regolare contratto per le sue doti di velocità e di potenza.

Nei primi anni del 900 il leggendario manager dei New York Giants, John McGraw, capì l’importanza e l’esigenza di far affluire più tifosi al vecchio Polo Grounds ed inserì nella squadra un giocatore ebreo, una figura carismatica dotata di forti qualità tecniche e atletiche. Nel 1923, Moses Solomon, nativo di New York, fece la sua apparizione in Major League con ottime credenziali, avendo realizzato 49-HR nella precedente stagione in Minor League.

Immediatamente si pensò a Moses come colui in grado di offuscare la fama e la notorietà di Babe Ruth. Solomon iniziò la stagione alla grande catturando l’attenzione dei mass-media che lo soprannominarono “The Rabbi of Swat”, in contrapposizione al soprannome di Babe Ruth, “The Sultan of Swat”.

Tuttavia il colosso ebreo non riuscì nell’impresa in quanto fu un terribile difensore. “Non prendeva una pallina al volo nemmeno con un aquilone”, così dissero di lui e a fine stagione venne lasciato andare. Uno scrittore anonimo scrisse. “Glory and shame, and Solomon like Napoleon, is now lost to fame”. Nel 1926 J.McGraw acquistò il seconda base Andy Cohen con un contratto di $20.000 nella speranza che il nativo di Baltimora potesse fare quello che Solomon non riuscì a realizzare.

L’atleta ebreo dopo un inizio titubante fece dimenticare in poco tempo “The Rabbi of Swat” Solomon, rendendosi protagonista sia in attacco quanto in difesa. Cohen fu l’eroe di New York e di tanti tifosi ebrei che lo portarono in trionfo dopo aver battuto un doppio e due singoli contro i Boston Braves consegnando la vittoria alla squadra di New York per 5-3. Con lui iniziarono le prime attività commerciali e al Polo Grounds venne pubblicizzato il gelato Cohen.

A differenza di altri atleti, Cohen rifiutò di americanizzare il suo nome per evitare discriminazioni all’interno della comunità ebraica. La sua notorietà ebbe un forte impatto e molti ebrei intrapresero una carriera dirigenziale all’interno dei grandi clubs professionistici. Ciò portò ad una rivoluzione in campo economico e amministrativo.

 

Vennero inserite nuove regole per i contratti dei giocatori e vennero stanziate più risorse da destinare alle strutture dei clubs delle Leghe Minori. Gli ebrei diedero una forte spinta innovativa all’Old Game, tanto da ricoprire ruoli importanti all’interno delle Major Leagues. Tali ruoli comprendevano quello organizzativo, amministrativo e legislativo. Anche la famosa canzone “Take me out to the Ballgame”, l’inno per eccellenza del baseball, fu scritta dall’ebreo Albert Von Tilzer.

 

Purtroppo, l’altra faccia di quel periodo fu triste ed inquietante. La crescente affermazione degli ebrei portò a fenomeni di antisemitismo in quanto la fascia conservatrice-americana vide questa etnia come una minaccia alle tradizioni e alla cultura della stessa America. Il BLACK SCANDAL del 1919 fu un ottimo pretesto per attribuire agli ebrei la colpa di quella infamante vicenda. Le World Series vennero barattate dalla squadra di Chicago e le indagini portarono ad incolpare 8 giocatori insieme ad alcuni scommettitori di origine ebrea. L’accusa fu quella di aver venduto le partite ai Cincinnati che in seguito vinsero le Series.

La Grande Depressione contribuì ad accentuare l’antisemitismo in quanto gli ebrei vennero indicati come i maggiori responsabili della triste condizione di povertà in cui era caduta una generazione di americani. Il commissioner della Lega, John Landis, di origine ebraica, nominato da Albert Lasker, un lucroso affarista anch’egli ebreo, decise di intraprendere un’azione senza precedenti e sospese a vita tutti i giocatori coinvolti nello scandalo delle scommesse del 1919. In questo modo Landis restituì integrità ad un gioco-istituzione come il baseball, ma soprattutto gettò un pò d’acqua sul fuoco antisemita che stava divampando pericolosamente.

 

Gli anni successivi rappresentarono una delle pagine più tristi e drammatiche della storia dell’umanità. Gli echi di una Europa che si preparava ad affrontare il dominio nazista, il successivo sterminio e la Grande Guerra, vennero vissuti dagli americani come se loro stessi fossero in prima fila. Questo perchè un’enorme immigrazione di ebrei, si parla di oltre 4 milioni di persone, fornirono testimonianze su ciò che stava accadendo al loro popolo in Europa. Fra di loro ci fu Jan Karsky, miracolosamente fuggito da Awschitz, che portò le prove dell’Olocausto davanti ai magistrati di origine ebrea, ma inspiegabilmente e assurdamente Karsky non venne creduto. Le statistiche del tempo assicurarono che ormai il 20% della popolazione americana era di origine ebrea. Il loro numero, sempre in ascesa, e le loro sofferenze rese note agli americani, attenuarono l’ostilità nei confronti di questo popolo.

 

Ma ecco che il muro della sofferenza venne abbattuto con impeto e rabbia quando nel 1930 apparve una stella, in questo caso a 6 punte, che cavalcò gli stadi del baseball americano rivendicando con fierezza la sua origine medio-orientale. Hank Greenberg a 19 anni debuttò in prima base per i Detroit Tigers. La “Quercia Ebraica”, così venne soprannominato, rappresentò la nuova luce negli occhi di un popolo tormentato e fu il catalizzatore di un ritrovato senso di comunità.

 

I tifosi ebrei si ammassarono nei Ballparks per vedere questo gigante di quasi 2 metri per 100Kg. che martirizzava la pallina, spedendola in alto e lontano verso le tribune. In effetti Hank Greenberg fu la prima vera grande superstar di origine ebrea, tanto grande da colpire i mass media americani i quali gli dedicarono le prime pagine dei giornali offuscando la fama e la gloria di atleti come Babe Ruth o Ty Cobb.

 

Greenberg fu il primo nella storia a battere un homer al centro esterno dello Yankees Stadium nel 1937 dopo 2.156 partite di MLB disputate nel vecchio Stadium dalla sua inaugurazione nel 1923. Sempre nel 1937 “Hammerin” Hank ottenne 183 RBI, ancora oggi la terza prestazione di tutti i tempi. Hack Wilson ne ottenne 191 nel 1930, Lou Gehrig 184 nel 1931. Nel 1938 Greenberg realizzò 4Homers in 4 Presenze alla battuta consecutive. Per 11 volte realizzò più di un homer a partita, record eguagliato da Sammy Sosa nel 1998, e terminò la stagione con 58-HR.

Nel mese di Settembre di quell’anno, Greenberg ottenne una incredibile sequenza di basi su balls per evitargli di poter battere il record stagionale di Babe Ruth. Greenberg in una intervista smentì questa storia e con signorilità affermò che i lanciatori erano scontrollati, (chissà perchè, solo con lui!). Ciò che attirò l’attenzione di questo straordinario atleta, avvenne nel 1934 quando il suo contributo fu fondamentale alla squadra di Detroit per l’ingresso alle World Series che non avveniva da 25 anni.

 

All’inizio di Settembre Greenberg annunciò che non avrebbe giocato il giorno 10 dello stesso mese perchè è il Rosh Hashanah, cioè il giorno dell’Ultimo dell’Anno nel calendario Ebraico. In più aggiunse di non poter giocare nel giorno 19 lo Yom Kippur, cioè il Giorno della Redenzione, la cerimonia più importante e sacra della tradizione ebraica. Tifosi e giornalisti si trovarono nel panico, “Rosh Hashanah arriva ogni anno, ma i Tigers non vincono dal 1909”, furono i commenti tragici di tutta la Detroit del baseball.

Greenberg si consultò col suo Rabbino e decise di giocare il giorno 10, ma non nel giorno 19. Come una magia, Detroit vinse contro Boston per 2-1. I punti furono realizzati da Greenberg con 2 home-runs. Il giorno 11, Detroit era in festa e ancora di più lo erano i giornali i quali, a piena pagina, augurarono a Greenberg “BUON ANNO”, con caratteri di scrittura ebraici. Nelle prime pagine si poteva leggere anche una poesia dedicata dallo scrittore Edgar Guest di cui riporto le ultime strofe:

-We shall miss him on the infield and shall miss him at the bat / But he’s true to his religion / and I honor him for that-.

 

Greenberg giocò fino al 1947, con una interruzione dovuta al suo arruolamento nell’esercito degli Stati Uniti per 48 mesi in occasione della II Guerra Mondiale. Appena congedato, a metà stagione tornò subito sui campi da baseball e senza allenamento ottenne un homers alla sua prima partita.

 

“Ogni fuoricampo è contro Hitler”, disse lo Slugger di Detroit.

Un angelo è sceso tra di noi. Il Baseball come la Bibbia ha un nuovo inizio…IN THE BEG-INNING.