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I Boars di Maremma

13 Lug , 2019  

di Cristina Pivirotto

Oggi scrivo di cose di casa mia. Lo faccio raramente, ma questa volta vi parlo di una società, nata lo scorso inverno, che ha il sapore della Maremma, come piace a me. Una “ciaccolata” (chiacchierata) con Riccardo Ciolfi, ideatore, padre fondatore dei Boars, i cinghiali di Maremma, mi ha convinta a derogare alle mie abitudini. Con lui ritrovo lo spirito un po’ guascone di un toscano DOC, ma che, all’occorrenza, dietro la maschera del ruvido maremmano, nasconde sentimenti di amore profondo per il baseball e di appartenenza alla sua terra. Riccardo ha vissuto i tempi del grande Grosseto e, come me, lo mantiene sotto pelle e sa che non se ne andranno mai i ricordi e le emozioni vissute in quegli anni, ma con estrema lucidità ammette che quei tempi non torneranno e che il baseball è destinato a diventare altro da quello che abbiamo amato noi. L’eccezione alla regola l’ho fatta ben volentieri: sono attirata dalla novità, sono conquistata dai sentimenti e dalle emozioni e Riccardo Ciolfi non ha nascosto la sua sensibilità, confessando, senza alcun disagio, che nell’amore per il baseball ci stanno anche le lacrime, quelle per un passato che non tornerà e quelle per un futuro che prende la giusta direzione.

1) Sei soddisfatto della prima stagione della tua squadra?

Come prima stagione più che soddisfatto, soddisfattissimo. A livello di risultati non mi aspettavo, a questo punto della stagione di ritrovarci terzi in classifica con un rating positivo di vittorie rispetto alle sconfitte. Quindi da questo punto di vista estremamente soddisfatto. E’ andato tutto quanto oltre le mie aspettativa, sinceramente.

2) Come nasce l’idea di creare una nuova società di baseball in terra di Maremma?

L’idea di una nuova società nasce per una questione di “rottura”, fondamentalmente. Siamo tutti, specialmente la mia generazione, cresciute all’ombra di quello che è stato il grande BBC, gli anni d’oro e tutto il resto . Solo che si sta continuando a ricercare la stessa cosa, ma son cambiati i tempi, son cambiate le situazioni. Per cui, cominciando dai colori, abbiamo tralasciato appositamente il bianco e il rosso, perché dobbiamo essere qualcosa di nuovo. Lo stesso nome della società non contempla la parola “Grosseto”, per un motivo molto semplice: io sono convinto che debba essere la città a volersi identificare in una squadra e non viceversa. Assolutamente non abbiamo la presunzione di pensare di essere noi a rappresentare Grosseto. Noi rappresentiamo semplicemente una società, sperando che i grossetani, gli appassionati si affezionino.

3) Essere una società di baseball appena nata è difficile? Hai dovuto pagare questo noviziato?

Difficile, si. Sinceramente difficile. Ti scontri con un insieme di realtà e di fattori che da giocatore, da ex giocatore o da appassionato non ti immagini. Tanta burocrazia, impegni che comunque non sono da sottovalutare, anche dal punto di vista economico. Pur essendo uno sport “povero” di soldi ce ne vogliono. Sponsor, persone che possano credere in un progetto nuovo, non sono facili da trovare. Però dico la verità, dopo un anno di noviziato, pagando lo scotto dell’inesperienza, ci si prepara alle prossime stagioni presumendo che possano essere affrontate in maggiore scioltezza. Devo ringraziare tutti i componenti del Direttivo, perché senza di loro non si sarebbe realizzato niente. Questa squadra esiste grazie a Dario Funzione, a Emiliano Aprili e a tutti quelli che si stanno adoperando, contro tutti e contro tutto, per questa società. Questo va detto e va riconosciuto.

4) Tu hai portato nel tuo gruppo tanti giocatori “maturi”, ma sempre validissimi, che hanno trovato una nuova motivazione nell’avventura dei Boars E’ un progetto riuscito?

Il discorso dei giocatori “maturi” è stata una scelta non tanto voluta, quanto dettata dalla necessità, perché comunque, essendo nuovi, abbiamo avuto difficoltà ad attirare i giovani, ovviamente. La nostra forza è che comunque, tra i giocatori “maturi”, c’è lo zoccolo duro dei Red Jack che hanno vinto la serie C, che hanno fatto la prima stagione di serie B. E’ un gruppo, da quel punto di vista. collaudato, Comunque c’è anche da sfatare un mito per cui essere un pochino avanti con l’età, se ci si mantiene bene dal punto di vista atletico, non significa affatto penalizzare il livello di gioco, perché il baseball è uno sport particolare, dove, sì, è importante l’atletismo, ma conta tantissimo la forma mentale, l’esperienza e tutta una seria di fattori che si raggiungono solamente in un’età matura. Il risultato più importante che abbiamo raggiunto quest’anno è stato quello di aver riportato in campo tante persone che avevano smesso di giocare. Gente che ha ancora tantissimo da dare: mi vengono a mente i nomi di Carraresi, Ginanneschi, Capperucci. Ma anche di aver dato la possibilità di giocare ad altri giocatori, che erano stati messi da parte dalle altre squadre, persone che, secondo me, sono elementi di prim’ordine per quello che è il panorama amatoriale in Italia. Cioè un Maurizio Di Vittorio è un elemento che ogni ragazzo dovrebbe avere accanto: ti può insegnare tantissimo, sia dal punto di vista tecnico che da punto di vista comportamentale.

5) Cos’è il baseball per te e per i tuoi compagni di squadra?

Beh, cos’è il baseball … la domanda più difficile di tutte, sinceramente E’ come la fede: c’è e basta. Non ti poni nemmeno la domanda perché o per come. Ti innamori e ti rendi conto che ha delle caratteristiche che, finché sei lì dentro, magari non gli dai nemmeno peso. Provi a staccarti un attimino e senti che ti manca: ti manca l’ossigeno, ti manca la terra rossa, ti manca l’ambiente dello spogliatoio. Ti mancano quelle cose lì. Alla fine è una famiglia parallela, è una casa parallela, è qualcosa di inenarrabile se non lo provi sulla pelle.

6) Qual è la missione che, alla luce di questa prima esperienza, hai programmato per il prossimo campionato?

Prossima stagione … per quest’anno abbiamo dato una buona ossatura alla squadra da cui si può partite per l’anno prossimo con degli innesti opportuni che stiamo già valutando. Sappiamo quello che ci manca per essere veramente competitivi. Dipende tutto dal riuscire ad inserire questi tasselli. Il nostro progetto, la nostra ambizione sarebbe di preparare una squadra che possa essere pronta al salto in serie B. Ovviamente ci siamo imposti di passare alla serie superiore esclusivamente per meriti di campo. Sappiamo benissimo che un titolo si potrebbe “comprare”, ma sinceramente non è nelle nostre corde.

7) Grosseto è stata, ahimè nel passato ormai, una delle piazze più importanti d’Italia per quello che riguarda il baseball. Come vedi il futuro della Maremma, guardandolo dalla parte di chi sta in campo?

Il futuro del baseball in Maremma lo vedo fatto di luci ed ombre. Secondo me c’è da cambiare passo, c’è da cambiare mentalità, c’è da portare la gente allo stadio rendendoci conto che, purtroppo, non possiamo offrire lo spettacolo tecnico che c’era negli anni ‘80 e ‘90. Le persone devono essere attratte da altro. Va trasformato in quello che poi, alla fine, è anche negli Stati Uniti. Io lo vedo più come un fenomeno di costume che come uno sport, un modo di creare aggregazione, una scusa per passare del tempo fuori. Quindi oltre allo spettacolo in campo, devi offrire anche qualcosa per il pubblico sugli spalti. Per il momento da quel punto di vista siamo abbastanza frenati, perché non abbiamo un campo nostro, quindi siamo obbligati a sottostare a determinate condizioni. Per il futuro vedremo. Cerchiamo comunque di essere attrattivi, divertenti, non prendendoci sul serio. Alle nostre partite, pur tenendo alla vittoria, difficilmente vedi facce scure. Si mantiene il tono sullo scherzo perché penso che son tutte cose che poi il pubblico vede, che si trasmettono. Se costruisci un ambiente allegro, gioviale credo che tutto diventi più facile e la gente se ne renda conto e ti rimanga vicino anche per quello.

8) Ti emoziona ancora scendere in campo per giocare una partita?

L’emozione è sempre quella. Non nascondo che, quest’anno, qualche bella soddisfazione ce la siamo tolta. Di emozioni ce ne sono state tante, ma la più grande è stata la vittoria con il Nettuno Academy, che abbiamo ottenuto allo “Jannella”, per 5 a 3. A fine partita ho pianto come un ragazzino perché, insomma, è sempre il Nettuno, è sempre lo “Jannella”, è il riconoscimento che quello che stai facendo sta andando nella direzione giusta. L’emozione, la tensione prima della gara c’è sempre. Io poi le partite le sento particolarmente, per cui vado in confusione almeno 24 ore prima. Poi appena finito mi rilasso un attimo. Però, si, di emozione ce n’è sempre tanta, tanta, tanta.

(Fonte immagine: adieffephoto)