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I GIANTS VISTI DALL’ALTO. L’ULTIMO SALUTO A FERLINGHETTI: AMO’ LA POESIA, IL JAZZ … E IL BASEBALL!

26 Feb , 2021  

di Ignazio Gori

America I’ve given you all and now I’m nothing”

(trad. “America, ti ho dato tutto e ora non sono niente”;

ALLEN GINSBERG, da “HOWL”)

Chiamò la sua libreria di San Francisco – divenuto un luogo di culto sin dalla sua fondazione – come il suo film preferito: “City Lights”, un film di Chaplin epocale che ho amato moltissimo anche io e il tatuaggio dell’ultimo frame che ho sul braccio ne attesta il ricordo.

Lawrence Ferlinghetti, poeta newyorkese di origini italiane, se n’è andato lo scorso 22 febbraio alla veneranda età di 101 primavere, sopravvivendo a tutta l’epopea dei beatnicks, di cui è stato il primo editore, vedendo un’intera generazione di artisti bruciati in giovane età dalla frenetica ed eccessiva voglia di vivere, nel mito di James Dean.

Appassionato di oriente e di filosofia zen, dichiarò che la svolta della sua vita fu la visita a Nagasaki, in Giappone, una città ancora devastata dalla bomba atomica. Divenne un pacifista radicale e si trasferì a Parigi, conseguendo un dottorato alla Sorbona. Era il più posato, il più razionale di quella generazione; ha infatti dichiarato di non aver mai assunto droghe e di non aver praticato sesso promiscuo, ma non ha certo risparmiato, nelle sue poesie e interviste, critiche feroci, anche sotto forma di ironia, all’America e al mondo intero: “Bergoglio è un Papa molto intelligente, speriamo non lo ammazzino!”.

Non le mandava certo a dire “Lorenzo”, come spesso si firmava, rivendicando il suo orgoglio italiano, tanto che ha deciso di chiamare così suo figlio. Chi lo ha conosciuto descrive un uomo integerrimo e mite, convinto delle sue idee progressiste e ambientaliste, anche se mai aggressivo, tant’è che accettò di finire in galera per aver pubblicato a sue spese nel 1956 l’allora ritenuto scandaloso poema dell’amico Allen Ginsberg, “Howl”, l’urlo di una intera generazione amareggiata, disillusa. Non fece una piega nemmeno quando in Italia fu arrestato perché scambiato per un barbone. Si era recato a Chiari, vicino Brescia, alla ricerca delle origini di suo padre Carlo Ferlinghetti, emigrato negli Stati Uniti all’inizio del ‘900.

Oltre alla poesia e all’adorato jazz, Ferlinghetti aveva un’altra grande passione, condivisa da Gregory Corso (vedesi “Dream of a baseball star”), anche lui di origini italiane: il baseball, tanto da scrivere una delle migliori liriche su questo sport, una composizione recitativa, ironica, graffiante e visionaria:

Baseball Canto

Guardare il baseball, sedersi al sole, mangiare popcorn,

leggendo Ezra Pound e desiderando che Juan Marichal

ne colpisca uno in maniera così potente da movimentare

la calma tradizione Anglosassone del primo inning

e scoraggiare gli odiati avversari.

Ecco che i San Francisco Giants scendono in campo

e tutti cantano l’inno nazionale,

con la voce di un tenore irlandese,

che risuona dagli altoparlanti,

con tutti i giocatori commossi,

e gli arbitri vestiti di bianco

e i poliziotti irlandesi con le loro divise nere

e i berretti premuti sul cuore,

tutti in piedi, dritti e immobili,

come al funerale del barista Blarney,

e tutti rivolti a est, come se si aspettasse

la Grande Speranza Bianca o che i Padri Fondatori

appaiano all’orizzonte, come avvenne nel 1066 o nel 1776.

Ma invece appare Willie Mays,

alla fine del primo inning,

e un ruggito si alza dalle platee,

mentre spedisce la prima palla sul sole

e corre come un podista di Tebe.

La palla si perde nel cielo e le ragazze lo guardano estasiate

come si guarda lo scorrere dell’epopea anglosassone.

E Tito Fuentes si presenta come un torero

nei suoi pantaloni attillati e nelle piccole scarpe a punta.

E le gradinate impazziscono, piene zeppe di chicanos

e negri e bevitori di birra di Brooklyn:

«Tito! Fagliela vedere, dolce Tito!»

E il dolce Tito si posiziona al box di battuta

e colpisce una palla destinata all’infinito,

e poi corre intorno alle basi

come se stesse scappando dalla United Fruit Company.

Mentre il Dollaro gringo batte la Sterlina

e il dolce Tito batte come se stesse battendo l’usura,

per non parlare del fascismo e dell’antisemitismo.

E poi tocca a Juan Marichal,

e i chicani impazziscono,

mentre Juan fracassa la prima palla chissà dove,

e si gira la prima base, la seconda, la terza

e così via e risponde a tono

ai ruggiti del pubblico inferocito …

tutto questo mentre qualcuno pigia il “pulsante del panico”

nel backstage, per un nuovo inno nazionale preregistrato

e salvare la situazione.

Ma questa volta il trucco non funziona, non ferma nessuno,

tantomeno questa invasione di basi cariche,

in quest’ultimo dei grandi poemi epici anglosassoni,

nel territorio libero del Baseball.

[traduzione di Ignazio Gori]

Tito Fuentes, uno dei miti di Ferlinghetti

La poesia fu scritta in occasione delle World Series del 1962 perse dai San Francisco Giants per 4-3 contro i New York Yankees. Ferlinghetti fu uno dei pochi a dirsi contento del trasferimento degli adorati Giants da New York a San Francisco, la città in cui viveva, in modo da averli così vicino e poter andare allo stadio. Cliccando youtube.com/watch?v=kfXtuSwiDkE potrete ascoltare la poesia recitata direttamente dall’autore in una “poetry jam”. Il suo capolavoro poetico è universalmente riconosciuto in “Coney Island of the Mind” (1958) ma io sono molto affezionato a “Scene italiane” (edito da Minimum Fax, 1995) da lui stesso regalatomi nel 2007.

Well, now, everything dies, baby, that’s a fact/But maybe everything that dies someday comes back/Put your makeup on, fix your hair up pretty …”. Tutti muoiono, questo è un dato di fatto. Ma forse qualcuno un giorno tornerà. Basta rifarsi un po’ il trucco e aggiustarsi i capelli. Canta così Bruce Springsteen nella splendida “Atlantic City”. “Io non ho capelli da pettinare, ma forse un giorno tornerò lo stesso. Spero che il mondo sarà migliore. E ovviamente tiferò Giants.

Mi piace pensare che Ferlinghetti possa rispondere così, dall’alto, con la solita ironia che lo ha sempre contraddistinto.

Ciao Lorenzo!

(Fonti immagini: l’immagine di copertina è tratta da www.pw.org. L’immagine 2 è tratta da www.pinterest.it)

(Foto di copertina: primo piano di Lawrence Ferlinghetti; Foto n. 2 Primo piano di Tito Fuentes con la casacca dei Giants; Foto n.3 Copertina del libro «Scene Italiane» )

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