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IL BASEBALL E’ UNA SCIENZA? Intervista a Max Marchi

1 Lug , 2020  

di Ignazio Gori

 

Max Marchi è un nome che inorgoglisce il baseball italiano, ma non mi piace considerarlo un “cervello in fuga”, è un grande “cervello” e basta, capace di farsi notare e rispettare professionalmente nel mondo dorato del baseball americano. Il Bar del Baseball gli ha chiesto com’è nata la sua passione per il baseball e come si è sviluppato il suo lavoro di analyst per i Cleveland Indians.

Chi ti ha lasciato in eredità o chi ti ha trasmesso l’amore per il baseball?

MM. Mio padre. Prima che io nascessi ha fondato la squadra di Sasso Marconi, poi è stato il mio primo allenatore (personale, prima che avessi l’età per cominciare le giovanili). In seguito mi ha portato a vedere la Fortitudo al Falchi (e altrove), poi ha fatto le notti con me a vedere le World Series in diretta.

Baseball e statistiche. Questo è uno sport che sui numeri ha fondato una vera filosofia interpretativa. Che ne pensi nello specifico?

MM. Il baseball MLB ha una combinazione di fattori quasi perfetta in questo senso: una stagione di 162 partite (quindi grandi numeri), un flusso del gioco a eventi discreti (più o meno, ogni lancio ha un ventaglio di esiti possibili limitato e prevedibile, molto diverso rispetto agli sport a flusso continuo – calcio, basket, hockey…). E in più, già a partire dal XIX secolo, c’è chi si è preso la briga di registrare ogni singola azione. È stato praticamente un matrimonio combinato!

Da qualche anno collabori con i Cleveland Indians come analyst. Quali sono stati gli steps principali che ti hanno aperto le porte della MLB?

MM. Il primo step (per quanto all’epoca non lo sapessi) è stato iscrivermi, e laurearmi, alla facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna. Dopodiché, per diversi anni, ho scritto su siti specializzati (Hardball Times e Baseball Prospectus), che sono regolarmente letti da membri dei Front Office. Infine nel 2013 ho pubblicato (con il Prof. Jim Albert come coautore) il testo Analyzing Baseball Data with R, ora alla seconda edizione. A quel punto ho ricevuto proposte da varie squadre, e Cleveland è stata la mia scelta.

Quali sono, a tuo parere, le stats più importanti, ma anche quelle paradossalmente più “nascoste” che di solito vengono usate come parametri? Mi riferisco sia al pitching, al batting, al fielding

MM. Se ti dicessi delle più nascoste, poi non sarebbero più nascoste, e brucerei un potenziale vantaggio per la franchigia per cui lavoro. In ogni caso non c’è una formula magica per nessuna delle tre componenti: ci sono innumerevoli informazioni, provenienti dalle analisi statistiche, dagli scouting report, dai colloqui tra i giocatori e gli psicologi, dalle interazioni con allenatori, compagni e avversari. Ognuna di queste informazioni ti racconta qualcosa di un giocatore: il club che meglio sa scovare tutte queste informazioni, e che meglio sa soppesarle, sarà quello che più si avvicinerà a stimare il vero valore del giocatore.

Qualcuno ha detto che esistono bugie, grandi bugie e statistiche. Tu cosa rispondi?

MM. Qualcun altro ha detto: è facile mentire con le statistiche, ma molto più facile farlo senza.

Anche se il baseball ama crogiolarsi in una dimensione statistica, non è poco il “margine poetico” di interpretazione lasciato al classificatore. Che ne pensi al riguardo?

MM. Ormai le analisi statistiche non si basano più sui numeri provenienti dal box score (e quindi dalle decisioni di un classificatore). Per valutare l’impatto difensivo di un giocatore, sappiamo a che velocità ha viaggiato la palla battuta, quanta distanza ha dovuto coprire il difensore, quanto ci ha messo a reagire, se è partito nella direzione giusta, … e tanto altro. Un’immagine poetica che è stata (ed è tuttora) usata nel baseball per descrivere i riflessi di un esterno: “è partito al suono della mazza” (DiMaggio diceva che “al suono della mazza” è troppo tardi). Oggi abbiamo dati a sufficienza per misurare il tempo trascorso dal suono al primo passo.

Tutti gli appassionati hanno in mente il film Moneyball del 2011 di Bennet Miller. Ma tu che tipo di approccio culturale nutri verso il mondo delle statistiche? Cosa più ti affascina?

MM. Probabilmente la seconda parte della citazione che ho usato al “5° inning”. Siamo nell’epoca dell’information overload (trad. “sovraccarico di informazioni”) e spesso non sappiamo se quanto ci viene proposto sia un fatto o una fake news. A mio avviso, mai come in questo momento, è necessaria un’alfabetizzazione statistica: certo, si può creare falsa informazione anche attraverso i dati, ma c’è sempre qualcuno pronto a smascherare il tuo bluff. Lo stiamo vedendo anche nel contesto dell’evento che ha prepotentemente caratterizzato il 2020. Ci sono capi di stato che sostengono di aver gestito bene l’emergenza COVID19, o che registrano dati secondo il proprio tornaconto: basta una veloce e attenta analisi dei numeri disponibili per rimetterli in riga. Mi sono allontanato dal nostro campo di azione, lo sport, e il baseball in particolare. L’ho fatto consciamente: il baseball è una delle mie passioni, la scienza statistica è un’altra, per me molto importante. Se non analizzassi dati di baseball, probabilmente analizzerei dati sanitari (era il mio precedente lavoro), o genetici, o meteorologici… forse dovrei dire che la cosa che più mi affascina è la possibilità di applicare questa disciplina a qualsiasi ambito.

Credi davvero, da analyst, che nel baseball moderno si possa assemblare un team vincente in base alla diversa e alternativa lettura di statistiche? Ovvero le statistiche dei giocatori si possono anche “leggere tra le righe”?

MM. Penso che possa essere un elemento importante per assemblare un team vincente, ma decisamente non l’unico. Per quanto riguarda il “leggere tra le righe”, oggi direi che il problema è diverso. Con la quantità di dati disponibili, di righe ce ne sono fin troppe… forse si tratta più di capire quali righe tralasciare e su quali concentrarsi!

Questo è un tasto dolente: i Cleveland Indians non vincono le World Series dal 1948. Da diversi anni in panchina c’è il grande Terry Francona, che io amo particolarmente avendo vinto con i miei Red Sox. Ci potresti fornire, ovviamente con discrezione, tre key words per un eventuale successo?

MM. Niente di indiscreto, penso siano le chiavi per ogni squadra, non solo nel baseball:

1-Acquisizione di talento: secondo le proprie risorse economiche, reclutare i migliori giocatori, attraverso il Draft, scambi, e tra i free agent.

2-Player development: una volta che i talenti sono nella tua franchigia, lavorare con loro affinché sviluppino appieno il proprio potenziale.

3-Mettere i giocatori in condizione di eccellere: prendersi cura della loro salute fisica e mentale, utilizzarli da un punto di vista strategico in modo da esaltare le loro doti.

 

Extra innings

Hai, rispetto al tuo lavoro, dei punti di riferimento imprescindibili?

MM. Il primo che mi viene in mente è un professore che ho visto l’ultima volta non meno di 15 anni fa, e che è da tempo passato a miglior vita. Era il decano della facoltà e, sopra ogni cosa, trasmetteva l’essenza della statistica. Quando lavoro bene, mentalmente lo ringrazio sempre, automaticamente.

Qual è la cosa più sorprendente e sportivamente parlando scioccante, che possa accadere ad un analyst Mlb?

MM. Un ex giocatore MLB, l’ultimo ad aver battuto una walk-off hit con Mariano Rivera sul monte, si avvicina, con una copia del tuo libro in mano, ti chiede l’autografo, e poi se ne vanta su Twitter. Adesso siamo compagni di squadra.

Un aneddoto molto sfizioso e invitiamo i lettori del Bar del Baseball a scoprire chi sia questo ex giocatore. Non credi che il baseball abbia preso una pericolosa tangente di statistica estrema, tralasciando così la comunicazione, la motivazione, la lettura più umana e genuina del talento dei singoli?

MM. Moneyball (sia libro, sia film) ha dipinto uno scenario del genere. La realtà dei fatti è completamente diversa. Semmai, l’esplosione numerica ha creato una maggiore necessità di dedicare attenzione alla comunicazione, così come ha portato un progressivo avvicinamento tra le sfere dello scouting e dell’analisi numerica.

Il tuo più grande sogno nel mondo del baseball? Sono accetti, visto che siamo romantici come i tifosi degli Indians, soprattutto sogni difficilmente raggiungibili …

MM. Una competizione internazionale, tipo WBC (World Baseball Classic) con massima partecipazione, e in un periodo dell’anno in cui la principale preoccupazione non sia il numero di lanci. Mi rendo conto essere più facile a dirsi che a farsi, ma parliamo di sogni… L’hockey ha i Mondiali (ogni anno) in concomitanza con i play-off per la Stanley Cup della NHL. Ovviamente chi è impegnato nella post-season non partecipa, ma chi gioca è molto motivato… e man mano che le squadre NHL vengono eliminate, le nazionali accolgono i rinforzi desiderosi di rivincita.

In definitiva, cos’è per te il baseball? Puoi usare sia una formula matematica, scientifica o una parabola poetica …

MM. Una vita di viaggi: parti sempre da casa, te ne allontani, ma alla fine a casa ci devi tornare.

 

Un grande grazie da parte di tutto lo staff del Bar del Baseball 

 

(la foto di copertina è gentile concessione di Max Marchi)