Racconti

This is Baseball

8 Dic , 2017  

di Beppe Carelli #14 

Con molto piacere accolgo la richiesta da parte dello staff del “Il Bar del Baseball” di
pubblicare su questo nuovo sito, una serie di scritti tratti dal mio blog. Si tratta di racconti, aneddoti e curiosità; la nascita, lo sviluppo e la consacrazione del Vecchio Gioco come elemento fondamentale nella vita sociale di ogni Americano. Ci saranno racconti allegri e racconti tristi, qualche profilo dettagliato dei grandi del passato, sia essi americani che italiani per concludere con qualche frammento di vita personale.

“The Game for all America”, dice Ernie Harwell editorialista dello Sporting News quando nel 1955 il suo manifesto diventò un classico, un must, più volte ripreso ed inserito nelle pagine dei quotidiani sportivi, sottolineato da tanti speakers durante le partite, ed infine suggellato anche nella Hall of Fame a Cooperstown. Si può affermare che questo manifesto non rappresenta il gioco dell’America, ma una pratica universale in grado di coinvolgere le popolazioni dell’intero pianeta.

Il Baseball è il Presidente degli Stati Uniti col suo lancio inaugurale ad inizio stagione. È il paffuto ragazzino che dopo la scuola gioca con suo padre sulle rive del Mississippi. È il lanciatore di Major League che canta nei night-clubs ed è il cantautore di Hollywood che lancia il Batting-Practice ai giocatori dei Giants durante gli Spring Training. È un uomo alto e magro che dal dug-out agita col braccio teso uno scorecard [1], questo è il Baseball. Come un grande e grasso battitore col naso butterato che scaraventa uno dei suoi 714HR fuori dalle tribune percorrendo le basi con passo smaliziato [2]. È l’America, questo Baseball. Una revisione dei sogni dell’infanzia, quei sogni che trafiggono il cuore segnando la differenza tra un bimbo ed un uomo. È il tifo del Bronx e l’addio di Baltimora. È il Green Monster all’esterno sinistro, la palude all’esterno destro di Sulphur Dell a Nashville, le tribune aperte di S.Francisco, il polveroso e ventilato diamante di Amarillo.

C’è un uomo a Mobile che si ricorda di aver visto un triplo di Honus Wagner a Pittsburgh 48 anni fa. Ciò è Baseball. Così come lo scout che dice di aver visto un ragazzo 16enne di Cheyenne giocare in un campetto di periferia, lanciare fulmini ai suoi compagni. È il nuovo Walter Johnson. È l’astuto piccolo uomo che dall’alto delle tribune urla e insulta i giocatori. È il grande e sorridente prima base che sistema i capelli di un bimbo seduto in prima fila. Il Baseball è la corsa animata dell’uomo contro l’uomo, dei riflessi contro i riflessi. Un gioco di millimetri. Ogni abilità ed ogni azione è misurata, approvata o contestata ed è subito parte delle statistiche. Nel Baseball, la democrazia brilla di luce eterna. L’unica razza che conta è quella di razziare le basi. Il credo è il regolamento del gioco. Il colore serve solo per distinguere le divise delle squadre opposte.

Il Baseball è Sir Alexander Fleming, che chiede una spiegazione dei segnali dei Dodgers mentre scopre la penicillina. È il giocatore Moe Berg [3] che parla 7 lingue e si esercita con le parole crociate in Sanscrito. È la zuffa sulle tribune per accaparrarsi la pallina battuta in foul che rovina il vestito da $125. È un uomo che urla tra la folla per avere una birra fresca. Ciò è il Baseball. Così come il giornalista, che dice ad un battitore di .385 come fare lo stride oppure ad un lanciatore vincente come si effettua uno slider. Il Baseball è un balletto senza musica, una poesia senza rime, un carnevale senza pupazzi colorati e bambole danzanti. È la casalinga della California che non conosce il colore degli occhi del marito, ma lei sa che Yogi Berra sta battendo .337, ha gli occhi scuri e gli piacciono le banane con la mostarda. Tutto ciò è Baseball. Così come la brillante luce di Cooperstown e della sua Hall of Fame. È la continuità, lancio dopo lancio, ripresa dopo ripresa, partita dopo partita, stagione dopo stagione. È la pioggia che bagna il tappeto erboso tra il disappunto dei tifosi sulle tribune inzuppate d’acqua. È il click delle macchine da scrivere nella press-box che si svegliano come grilli salterini. Baseball è lo spavaldo bat-boy che parla al major-leaguer e prevede che otterrà una battuta valida. È una donna che festeggia il fuoricampo con un profondo abbraccio stringendo lo scorecard arrotolato nella mano. Il Baseball sono i chiari e freddi occhi di Rogers Hornsby, i luccicanti spikes di Ty Cobb, il folletto che risponde al nome di Rabbit Maranville ed è Jackie Robinson che invoca la giustizia all’Auditorium di fronte a tutti.

Baseball?, è solo un gioco, così semplice come la mazza e la pallina. Ma è anche complicato perché simboleggia lo spirito americano. È uno sport, un affare, una religione. Il Baseball è la tradizione delle divise in flanella dei Knickerbockers e l’umiliazione di essere pescato fuori dalla base. È la dignità dell’arbitro che si affretta durante la partita e ti avvisa agitando con rapidità il suo pollice. È l’umore e il divertimento che immobilizza il pubblico di fronte ad un cucciolo errante che attraversa il diamante in fuga dagli addetti al campo e dal più veloce esterno. È l’ansia e l’emozione senza respiro dei tifosi dopo aver visto il battitore steso per terra nel box. I soprannomi sono il Baseball, come Zeke e Pie, come Kiki e Home Run e Cracker e Dizzy e Dazzy. Il Baseball è un vaporoso e sudaticcio spogliatoio dove le speranze e i sentimenti sono nudi come gli atleti sotto la doccia. È la panchina ticchettata dal viavai continuo degli spikes e sono le ombre che corrono al tramonto attraversando lo stadio vuoto. È l’interminabile lista di nomi nel foglio del line-up, spesso abbreviati, quasi irriconoscibili. Anche i contratti sono il Baseball. Lui chiede milioni di dollari altrimenti non muove un singolo muscolo. Ma è anche il ragazzo che fa l’autostop dal South Dakota alla Florida per effettuare un provino. Chiacchere, discussioni, Casey at the Bat, figurine, foto, Take me out to the Ballgame. Tutto questo è Baseball. Il Baseball è un rookie il cui pomo d’Adamo non è più grosso della sua esperienza. Ma è anche l’acciaccato veterano che spera che i suoi muscoli lo possano portare verso i soffocanti mesi di Agosto e Settembre. Per nove riprese il Baseball è la storia di Davide e Golia, di Sansone, di Cenerentola, dell’Iliade e del Conte di Montecristo. È Willie Mays che gioca a baseball per le strade di S.Francisco col manico di scopa insieme ai bambini.

È la voce strozzata di Lou Gerhig che dice “Mi considero l’uomo più fortunato sulla faccia della Terra”. Il Baseball è il sigaro, il fumo, le noccioline arrostite, The Sporting News, il mercato invernale, lo Stretch del settimo inning, i gomiti e le spalle infiammate, le mazze rotte, la no-hit e le note di The Star Spangled Banner. Il Baseball è Bob Gibson che prima della partita si avvicina e ti sussurra: “I’m gonna hit you today”, e puoi esserne sicuro, lui lo farà. È Roy Campanella che dice ai finanzieri di tutta America che “Bisogna essere uomini per giocare in Major League, ma bisogna anche conservare un animo da bambino”. Questo è il Baseball, creato per gli uomini, creato per i fanciulli.

 

[1] Riferimento a Connie Mack, l’unico manager a dirigere la squadra in giacca e cravatta.

[2] Babe Ruth

[3] Terminata la carriera come giocatore Moe Berg venne assunto presso “The Office of Strategic Services” durante la II Guerra Mondiale come agente segreto al servizio del Governo Statunitense.