Altro

ARGENIS BLANCO: il nostro sport è vita, cultura, storia.

21 Giu , 2019  

di Serenella Mele

Parlare con Argenis Blanco carica di entusiasmo, entra nel senso dello sport e lo fa diventare vita. Conserva quella sensibilità di un’infanzia meravigliosa vissuta in una Caracas bellissima, e la tiene dentro, in attesa che passi la tempesta e il suo popolo possa riprendere a vivere degnamente. Parla di baseball come qualcosa che fa crescere bene, che fa vivere meglio.

Nato a Caracas (Venezuela) nel 1972, in Italia dalla primavera del 2002, Argenis Blanco, arriva per lavorare come coach del Bollate baseball, storica società lombarda. Arriva e vince subito la Coppa Italia.

Raccontaci un po’ le tue origini, Argenis

Sono cresciuto in una famiglia sportiva, a pane cipolla e sport – ci racconta il manager venezuelano del Caronno- due sorelle, 4 fratelli, tutti sportivi fra baseball, basket e vari sport giocati soprattutto per le strade ed i cortili di Caracas. Sono cresciuto nel quartiere popolare di “Barrio 23 de enero”, quartiere storico, che ha dato una quindicina di giocatori alla MLB, quattro campioni mondiali al pugilato, vinto due medaglie olimpiche. Un quartiere “vivo”, con molte aree verdi, tanti spazi per lo sport. Quando ero bambino, era un luogo spettacolare, non vedevamo l’ora di scendere in strada e giocare, soprattutto a baseball. Ricordo un’infanzia fantastica! Non avevamo molti giocattoli, mamma ci comprava giusto una palla di gomma in occasione del nostro compleanno, e con quella passavamo ore a lanciarla contro il muro. Mamma non ha avuto tempo di fare sport, con tanti figli: è una nera grande, forte, il talento che abbiamo noi figli viene da lei. Di quelle signore toste, Josefina Blanco. Tu la vedi camminare, muoversi, ballare, diventi matto. È un personaggio molto amato, ha una grande energia, casa nostra è sempre piena di amici. Non sa leggere né scrivere, il papà non era tanto presente, ma mamma Josefina ha mandato tutti i figli all’Università, ci siamo laureati tutti –ricorda con orgoglio Argenis Blanco – ha fatto da mamma, zia, papà, tutto. E bene. Ci ha insegnato il rispetto e una grande educazione.

Ho iniziato a giocare a baseball nel 1976, ma facevo anche altri sport.

Mi sono laureato presso l’Universidad Pedagógica Experimental Libertador, Instituto Pedagogico de Caracas, con laurea quinquennale (“Licenciado en Educacion Fisica”, ndr). Iniziando subito il percorso agonistico da atleta e da tecnico”.

Livello tecnico altissimo quello del Venezuela, dove già arrivare alle finali nazionali equivale ad essere “stellari” nel baseball e softball: Argenis Blanco centra ben 4 volte l’obiettivo.

Durante l’Università vince 4 Campionati di softball LIPESAN (1996-97-98-99), 2 Campionati Nazionali Universitari UPEL (1997 Lara, 1999 Aragua), Campione Torneo Internazionale Softball ULA nel 1998 a Merida. Come tecnico in Italia, nel 2002 è coach del Bollate baseball che conquista la Coppa Italia; promozione in A1 col Rho baseball nel 2003, vince la Coppa Italia softball col Caronno nel 2007, promozione in A1 col Caronno nel 2010, Coppa Italia nel 2010 col Caronno, nel 2013 promozione in A1 del Caronno; Campione d’Europa senior League nel 2013 con la selezione della Lombardia Senior (Europeo EMES Europa-Africa), secondo posto nella World Series Senior League nel 2013, campione d’Italia U13 col Caronno nel 2016.

Sono mancino, giocavo a softball in seconda base, e a baseball come esterno. Già al secondo anno di Università ho iniziato a lavorare come tecnico” – mi racconta –

Appena arrivato in Italia, ti sei accorto che il livello dei nostri tecnici non era eccellente..

Quando ero a Bollate, ogni giorno passavo accanto allo stadio del softball, apprezzavo le giocate delle atlete ma i tecnici ritenevo che non fossero abbastanza preparati. Bollate è un’istituzione nel baseball e nel softball, ma i tecnici avevano una competenza insufficiente. Dopo due anni di baseball a Bollate, sono passato al softball. Il Bollate non ingaggiava allenatori, quindi sono andato a Rho (vinto il campionato di A2, promossi in A1, ndr)”

Fai un confronto tra la pratica sportiva nel tuo Paese di origine, e quella italiana

Da noi in Venezuela il baseball è quasi una religione, non è un passatempo qualsiasi. Giochiamo dovunque e a qualsiasi ora. Contro un muro come al parco, in strada o in un cortile. Si cresce giocando, guardiamo i grandi e copiamo. Il baseball ed il softball sono “nell’aria che respiriamo”, poi naturalmente ci sono club, scuole, dove s’insegna baseball e softball con la possibilità di praticarli a livello agonistico. È il nostro elemento il baseball, è nella nostra natura, lo vediamo tutti i giorni in tv, un gioco come nascondino o altri. In Venezuela giochi a baseball e col baseball diventi adulto/a. Il Venezuela nel 1941 ha vinto il mondiale a Cuba, in finale contro Cuba a L’Avana! Nessuno aveva nemmeno mai pensato a questa eventualità. È cambiato tutto! Il baseball per noi è diventato vita, cultura, storia. Come la pasta alle vongole, il ragù di Bologna, in Italia. In Venezuela un bambino dell’asilo ti sa dire cos’è la prima base, cos’è un home run, perché gioca, perché se ne parla in casa. Per noi è una cosa naturale, magari non entreranno mai in una squadra, ma giocano, passano le ore anche senza un guantone, 4 contro 4: prima di entrare a scuola, la mattina, e appena esci, giochi a baseball o a qualcosa che gli somiglia molto”.

Le notizie che arrivano ogni giorno dal Venezuela, sono drammatiche: il tuo stato d’animo, le tue emozioni

Essere nato e cresciuto nel Barrio 23 de Enero di Caracas, significa crescere con la solidarietà dentro. Uno aiuta l’altro. Sto vivendo in Italia, ma sogno in Venezuela. Mi fanno malissimo le notizie che sento ogni giorno di ospedali senza medicine, io che ho vissuto un Venezuela meraviglioso, ma le cose da qualche anno sono drammaticamente cambiate. Le difficoltà c’erano, come in tutta l’America Latina, ma le mie sorelle e i miei fratelli sono andati tutti all’Università, ci siamo laureati tutti. Mamma ci ha sempre insegnato l’importanza dell’istruzione, della cultura, per trovare un posto dignitoso nella società; diventare umano, saggio. Quello che sta succedendo adesso ci fa tremare, ci fa soffrire. I venezuelani normalmente non emigravano, al contrario. Il Venezuela è stato per anni la casa di tutti i latinoamericani, era la terra del benessere, adesso invece si vive il dramma quotidianamente”.

Come vive lo sport agonistico venezuelano la crisi politica e sociale?

Purtroppo c’è la tendenza ad usare lo sport come movimento politico, vetrina, come è successo in altri Paesi in passato. Tutte le federazioni sportive sono ai piedi del governo, un condizionamento indubbiamente c’è. Ricordo che lo scorso anno mi è stato chiesto di consigliare un tecnico per il Nuoro, ho subito pensato a Wilmer Pino: non solo a livello sportivo, ma intellettuale, umano. Dalla federazione venezuelana hanno detto “non lo conosciamo”. Ovvio –ribadisce Argenis Blanco- voi non conoscete nessuno. Nuoro si è fidata di me, “vogliamo uno come te” mi hanno detto. Ritengo, con la carriera che ho fatto qui in Italia, di essere in grado di consigliare il meglio. Sto parlando di un educatore, un formatore, che conosce il softball e lo sa insegnare bene. Non solo Nuoro, ma l’Italia intera ci sta guadagnando!”

Ti piacerebbe tornare nel tuo Paese? Quando finisce la crisi, naturalmente

Te lo riassumo in una frase: vivo in Italia, amo l’Italia, ho la mia famiglia qui, ma sogno il Venezuela. Incontrare la famiglia, giocare a baseball con gli amici, mangiare insieme, non è poco. Ci sono stato nel 2013, ancora non era scoppiata la crisi..”

Posso farti una domanda sugli arbitraggi italiani?

Penso che il problema dell’arbitraggio sia la preparazione. Molti arbitri in realtà non conoscono il gioco, non lo hanno vissuto. Non basta frequentare un corso, prima di arbitrare in serie A ritengo necessari almeno 5-6 anni di esperienza. È un problema di capacità. Un semplice appassionato non può fare l’arbitro, se non ha “vissuto” il campo. Hanno carenza di “cultura sportiva”. Se mi chiedono un’insegnante di piano, do il nome di un pianista. Se mi chiedono un falegname, non vado certo io. Se mi dicono “Argenis, ti do cinquemila euro per commentare il moto gp..”, non vado, cercate uno specialista. Se cercano un tecnico di baseball e softball, per fare un discorso motivazionale, per insegnare la tecnica, allora potrei andare. Magari con Wilmer Pino”.

Come vedi il softball italiano, ed europeo, in generale?

L’Italia sta vivendo un gran momento, con le squadre nazionali. Finalmente non ci sono troppe oriunde. Campioni d’Europa U19, U21. Ci sono grandi atlete come Greta Cecchetti, la Cacciamani, la Piancastelli, è vero che vive praticamente negli USA, ma è italiana, canta l’inno nazionale. Mi preoccupa il movimento giovanile, la Little League. Penso che dobbiamo andare a scuola e competere con gli altri sport, far capire che il softball è uno sport meraviglioso, qui in Lombardia lo facciamo molto bene. Dobbiamo moltiplicare la presenza nelle scuole. Tutte le squadre di A1 e A2 dovrebbero come obbligo curare il settore giovanile in tutte le categorie, è molto faticoso.

Diventa più facile (per pochi, ndr) spendere grandi cifre per costruire una squadra che vince.

Penso alla Sardegna: deve fare una sola squadra in A1, magari una in A2 ! Tutte le altre si occupino del settore giovanile. Questo è il mio pensiero, lavorare, crescere buone atlete. Tu cresci una Loredana Spada, una Anna Pirisinu, una Ylenia Pisanu, devi fare una grande squadra non dividerle! Serve fare la formazione ai dirigenti, che sappiano dove andare, e formare dei buoni tecnici, in grado d’insegnare, gestire una categoria. Un Benito Francia, un Wilmer Pino, ed altri che sono nell’isola, li devi trattenere li e far lavorare, perché sono molto bravi. Li fai andare a casa a Natale, poi porti le famiglie qua, in modo che possano lavorare sereni. Creare una sorta di Accademia del Softball Sardo! Magari prendi una Paola Cavallo (fra qualche anno, perché gioca ancora molto bene, ndr), le fai fare il pitching coach, poi Benito Francia (attualmente manager della Supramonte in A2, ndr), Wilmer Pino (manager del Nuoro, ndr) e qualcun altro di Alghero, Sassari, tutti quei tecnici geniali e capaci da tenere in Sardegna tutto l’anno facendoli girare per i vari campi”.

Un appello, un saluto, un pensiero al Venezuela, alla tua famiglia, agli amici..

Mando un saluto a tutti i venezuelani che sono in Venezuela e fuori per il mondo, dobbiamo unirci! Come quando cerchi disperatamente quell’ultimo out…se la squadra non è unita, non trovi la soluzione. Uniti, tutti, anche quelli che non ci piacciono”.

(Fonte immagine: archivio di Argenis Blanco)