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FASO: “Il sogno del baseball passa attraverso i giovani”. Il bassista del gruppo “Elio & Le Storie Tese” si racconta al Bar

29 Lug , 2020  

di Ignazio Gori

Abbiamo sentito Nicola Fasani, per tutti “Faso”, storico bassista del gruppo Elio & Le Storie Tese – il più noto gruppo di rock demenziale dopo i mitici Squallors – nonchè collaboratore di altre stelle del panorama musicale italiano. La passione per il baseball ha portato lui e Elio a fondare una squadra, l’Ares Milano, militante in serie B, ma con un passato anche in A2. Oltre a giocatore nel ruolo di prima base, Faso è stato allenatore nonchè l’attuale presidente della società, e ha prestato la sua voce per le telecronache televisive del baseball MLB su Telepiù, Sky Sport e Fox.

Faso, come è nata la tua storia d’amore, che condividi con Elio, per il baseball?

È nata per caso. Era circa il 1986 e, forniti di due guantoni, con annessa fidanzata che leggeva le strisce di Schulz con Charlie Brown e Snoopy che giocano a baseball – atmosfera perfetta – ci venne in mente di andare al parco Lambro a fare due tiri. Il Lambro era stato teatro di tanti storici concerti rock e progressive, ma già non si tenevano più e il parco era per lo più frequentato da tossici. A proposito di tossici, ricordo che una delle primissime volte che andammo con Elio lì a giocare con altri amici, vedendoci con guantoni e palline, ci venne incontro proprio un tossico. Era la classica figura del tossico, come al cinema o nei fumetti, il quale, con voce impastata e rallentata si offrì di farci da arbitro. Io e Elio ci guardammo sbigottiti, sembrava una gag. Invece il tipo le regole le sapeva davvero, era un appassionato e finì per arbitrarci sul serio. Fu spassosissimo! Il nostro definitivo amore per il baseball nacque forse in quell momento.

L’Ares[1] ormai è giunta al 32esimo anno di attività. Ma come è nata l’idea di findare la squadra?

L’Ares è nato in conseguenza a quelle nostre partitelle al Parco Lambro. Sarò stato il 1987-88 e lo Zelig di viale Monza a Milano era ancora solo un locale di cabaret, dove si esibivano Claudio Bisio, Antonio Albanese e Giovanni e Giacomo prima dell’unione con Aldo; anche Elio & Le Storie Tese si esibivano lì, prima del successo ovviamente. Una sera, mentre pianificavamo la nostra solita domenica di gioco al parco, il barman dello Zelig, ascoltando inavvertitamente i nostri discorsi si offrì di accompagnarci, aggiungendo che al pallone avrebbe pensato lui. Gli dicemmo che non si trattava di calcio, bensì di baseball. Ma lui disse che sarebbe venuto lo stesso, anzi, ci suggerì una cosa che ci era sfuggita: al Forlanini c’era un campo di baseball abbandonato, magari si poteva affittare. Dovete sapere infatti che il nostro diamante al Lambro era artigianale, le basi le facevamo con dei cuscini rubati dai divani delle nostre povere mamme, saldati a terra con dei picchetti e la casa base era un foglio di linoleum color marmo! Una volta un nostro amico portò addirittura dei sacchetti di gesso per tracciare le linee … giocare era una operazione abbastanza faticosa e il fatto di poter affittare un  campo vero, anche se abbandonato, ci mandava in brodo di giuggiole. Ma non fu una passeggiata …

Perchè?

Perchè il responsabile mi disse che per affittare il campo dovevamo essere una squadra ufficialmente iscritta alla federazione. Come? Per affittare un semplice campo, addirittura abbandonato, e giocare con gli amici occorre essere tesserati? Allora per affittare un campo da tennis bisogna figurare nel ranking mondiale? Ma questa è come una malattia mentale, pensai, e glielo dissi al responsabile che non accolse benissimo la mia amara polemica. D’altronde all’epoca io e Elio non eravamo ancora famosi, avevamo solo suonato in qualche localino, come detto allo Zelig, al Ciak … Ma queste erano le regole e il campo non si poteva affittare.

Dunque non restava che una soluzione …

 Infatti. Facemmo una riunione con tutti i nostri amici che costituivano la squadra e in una classica palestrina d’oratorio, in data 1988, nacque il nostro club di baseball. Sul nome della squadra eravamo indecisi, quindi scrivemmo le nostre proposte su pizzini di carta e estraemmo democraticamente; il primo nome uscito sarebbe stato il nome ufficiale della squadra. E Ares fu! Eravamo dodici elementi, i dodici pionieri originali ai quali si unì anche il barman dello Zelig, che fu il primo catcher della squadra. Ora con oltre trent’anni di attività, due stagioni in A2 e quindici in serie B[2], dove tuttora militiamo, posso dire che sono molto orgoglioso dell’Ares. Noi puntiamo sui giovani, abbiamo cinque formazioni giovanili e siamo una squadra decisamente anomala nel panorama nazionale, la prima squadra è praticamente una U18; nelle ultime due gare  contro il Codogno (una vinta una persa) il più vecchio in campo aveva 18 anni compiuti. Io credo in questo tipo di progetto, a fronte di altre scelte, per me dannose per il baseball italiano, perchè di materiale giovane e di talento ne abbiamo e se sappiamo lavorare bene, sono convinto che diversi nostri giocatori potrebbero arrivare anche in Major League.

Faccio un esempio di qualche anno fa, ma ancora attuale purtroppo. Mi è capitato di andare su certi campi di serie B e non sentir parlare italiano, tutti stranieri a lucrare soldi da piccole società che invece dovrebbero investire sui vivai. Ricordo una squadra emiliana – di cui non faccio il nome – che aveva otto, forse nove mercenari stranieri. Ovviamente vinse la B, ma dovette rinunciare all’iscrizione in A2 perchè non avevano più soldi. Qualcuno mi vorrebbe spiegare il senso di una operazione del genere? Io lavoro nel senso opposto: una squadra U12, una U15 e due U18. Non amo il “gerontobaseball”, al Massimo due veterani a trainare la carretta e spazio ai giovani.

Sei contento che il baseball MLB sia tornato nella programmazione di Sky 2020? Io non mi sono perso nemmeno una delle tue telecronache in coppia con Sal Varriale …

Sono molto contento, certe scelte fanno bene ai fans italiani del meraviglioso giuoco del baseball e chissà che per settembre, in aria di Pennant e World Series non capiti qualcosa, Magari con Sal, che per me è un mito, un database vivente per quanto riguarda il baseball mondiale. Sal l’ho conosciuto nel 1996 in un’occasione quasi comica. Le nostre divise dell’Ares erano formite dallo sponsor Kappa e un giorno, l’imprenditore Marco Boglione, tra i fondatori dell’azienda che detiene anche il marchio Kappa, mi chiese come far crescere la popolarità del baseball italiano. Io, scherzando ovviamente, dissi che era semplicissimo, bastava organizzare una amichevole allo Yankees Stadium tra New York Yankees e Ares Milano e far vincere l’Ares. Avremmo magari potuto far vestire la casacca dell’Ares a tre o quattro giocatori degli Yankees per bilanciare le cose, tanto la maggioranza dei tifosi italiani non se ne sarebbero accorti e il gioco era fatto! Invece qualche tempo dopo Buglione mi chiamò dicendo che l’amichevole con gli Yankees non sarebbe stata possibile ma che, grazie allo sponsor Starter, che faceva le loro divise, gli Atlanta Braves ci avrebbero con piacere ospitato una settimana nel loro Spring Training. E fu proprio Sal Varriale, che conosce benissimo la MLB, ad accompagnarci!

Una storia davvero fantastica, quasi da favola, da uno scherzo si è palesata una possibilità unica …

Io non ci volevo credere. Dico solo che ho fatto batting practice con Fred McGriff e mi comportai abbastanza bene contro dei fenomeni sul monte di lancio, come Greg Maddox, John “Marmaduke” Smoltz e Tom Glavine! Quando mi fecero i complimenti credevo di svenire … I Braves erano in gran spolvero in quegli anni, uno squadrone capitanato da Chipper Jones e avevano vinto le World Series l’anno precedente, nel 1995. Ricordo con grande simpatia il catcher portoricano Javy Lopez. Visto che eravamo musicisti italiani, chiese a me e Elio se conoscevamo Laura Pausini, se potevamo fargliela conoscere, che era tanto innamorato di lei e che sua moglie lo avrebbe ammazzato se lo avesse saputo … un vero spasso!

Faso, a proposito di musica, mi sono spesso chiesto perchè mai tu e Elio non abbiate mai dedicato un “concept album” al baseball, magari lo farete, lo spero. Ma se il baseball fosse una musica, che tipo di musica sarebbe per te?

Potrei dirti il rock, ma non sarebbe del tutto appropriato, almeno non il rock classico, o un genere più duro, direi piuttoso un rock più raffinato, un pop-rock nello stile degli Steely Dan. Il fatto è che il baseball è uno sport raffinato, pieno di dettagli, e ha bisogno di essere paragonato a una musica sì decisa, ma anche raffinata. In certi momenti mi fa pensare al blues, per la sua essenza morbida, ma un rock raffinato è forse più adatto a sintetizzarlo musicalmente.

C’è Dan Bern che ha dedicato un doppio album intero al baseball, molto bello, “Doubleheader” (2012), che invito tutti ad ascoltare, ma il suo stile è folk-country.  Se ne hai, quali sono i tuoi miti nel baseball?

Il baseball l’ho scoperto solo a 17 anni, un pò tardi per gli standar medi, prima pensavo solo a suonare, però posso dirti che tra i miei più grandi miti c’è senz’altro Ferguson Jenkins[3], un grande lanciatore dei Cubs negli anni ’60, cui debbo il mio numero di casacca, il 31, quando giocavo. Ho amato e idolatrato un suo libro intitolato L’arte del lancio[4] che qualcuno aveva tradotto in maniera casereccia ribattendolo tutto con la macchina da scrivere e mi aveva fatto pervenire le classiche dispense fotocopiate stile universitario. Quel libro mi è rimasto dentro e mi ha fatto innamorare di lui.

Come vedi la situazione del baseball a Milano? Sarebbe una piazza importante da recuperare per il movimento.

Il Milano 1946 è nel nostro stesso girone di serie B e qualche anno fa tentammo anche una piccola fusione societaria, ma io non sono tanto in linea di pensiero con chi a Milano crede che la rinascita del baseball cittadino sia legata a una militanza in massima serie. Non serve a nulla giocare, magari al Kennedy, che tra l’altro sta risorgendo, davanti a otto dirigenti e a qualche fidanzata dei giocatori. La rinascita del baseball a Milano non è legata ad una o magari a due squadre in A1 e A2, ma ad un singolo fattore: ovvero il battitore che si alza da dugout, si volta e vede gli spalti pieni. Magari anche nelle serie minori. Voglio dire che quello che bisogna recuperare non è la professionalità, quella ci sarebbe, ma l’entusiasmo contagioso della gente. Tutto questo è fattibilissimo, perchè per tanti anni è stato così.

Visto che quello di cui parli ha a che fare con la poesia popolare del baseball, cosa rappresenta per te questo sport?

Da giocatore il baseball ha rappresentato un meraviglioso momento di confronto con il mio fisico, con il mio corpo. È stata una scoperta questa fisicità, che poi è l’elemento che manca alla musica; quando suono infatti non sono competitivo con gli altri musicisti e neanche mi interessa questo tipo di contesa, ma come agonista sportivo il baseball ha rappresentato un incredibile stimolo al confronto, anche mentale, perchè questo è tra gli sport dove l’intelligenza conta di più. Ricordo che un lanciatore di una squadra avversaria, prima di una partita, mi fece i complimenti per l’ultimo album con Le Storie Tese, che non vedeva l’ora di venire a un nostro concerto e che dopo l’incontro sarebbe stato felice di farsi firmare da me una pallina. Io inconsciamente speravo che l’emozione di quel ragazzo mi avrebbe lasciato qualcosa in partita… e invece no, mi rifilò due K secchi e non feci nemmeno una valida. Ecco, questa è l’essenza del baseball, a livello mentale non devi cedere mai, nemmeno a pensarlo. È uno sport anche brutale, ma magnifico.

Come manager invece è diverso. Allenare è forse più faticoso che giocare. Insegnando ai bambini ho provato emozioni che mai avrei pensato immaginato. È come il maestro di scuola che si sente orgoglioso dei suoi studenti che passano gli esami di fine anno. È molto diverso allenare bambini e allenare gli adulti. I bambini vedono un errore di gioco, un eliminazione ad esempio, come un disastro ed è lì che l’allenatore deve intervenire, cioè deve intervenire anche nell’aspetto umorale, morale, nell’atteggiamento mentale. Mi viene in mente il film Ragazze vincenti quando l’allenatore Tom Hanks, vedendo piangere una sua giocatrice dopo un errore, ha come un cortocircuito, avverte un errore di sistema e le urla: “Non si piange nel baseball!”. Tra gli adulti non avvengono spesso certe cose e quando accadono gli allenatori non sanno cosa fare per rassicurare un giocatore. Io ho iniziato ad allenare quando mio figlio ha deciso di iniziare a giocare a baseball e da lì  le mie funzioni di papà si sono fuse con quelle tecniche, dando spinta alla mia volontà e all’entusiamo di allenare. Una sensazione bellissima.

Vorresti fare un augurio, anche anarchico, al baseball italiano?

Mi auguro che venga un tempo e uno sport dove nulla si può simulare – e ogni riferimento a un’altro sport più seguito è puramente casuale -, uno sport dove i numeri sono veri e non chiacchiere da bar. Mi auguro che venga uno sport – e ogni riferimento al nostro sport non è puramente casuale – che faccia in Italia un pochino più rumore del peto di una mosca. Mi auguro infine che questo sport si affermi come meriterebbe.

 

 Domanda Extrainning

Faso, sfatiamo un mito che circola su di te. È vero o no che ti hanno beccato a fumare erba nel corso di una partita?

Fumare erba poco prima di una partita o addirittura durante sarebbe una scelta discutibile: i riflessi rallentati  certo renderebbero impossibile il controllo del gioco. Magari ho fumato due, tre giorni prima di un controllo e magari sono stato anche squalificato per 8 lunghi mesi, per questa “pericolosissima” erba incriminata. Però lasciami dire che un certo Davids della Ju…tus, trovato strapieno di nandrolone, è stato lasciato tranquillamente scorrazzare sul campo. Io non sono un miliardario del calcio, ovviamente, ma le regole andrebbero applicate a tutti. Io comunque la mia piccola rivincita l’ho avuta, la maggior parte della squalifica l’ho scontata d’inverno, quando il gioco è fermo. Il Dio del Baseball a volte ci vede bene.

 

[1] Sito di rif. www.aresbaseball.it

[2] Inserito nel Girone A della Serie B 2020, insieme al Milano 1946, Fossano, Codogno 1967 e Piacenza.

[3] Nato nell’Ontario, in Canada, nel 1942, nel ruolo di lanciatore ha militato nei Phillies, nei Cubs, nei Rangers, nei Red Sox e di nuovo nei Chicago Cubs. Ha ottenuto più di 3000 K, con 284 vittorie a fronte di 226 sconfitte con una ottima media ERA di 3.34. E’ stato 3 volte All-Star e una volta vincitore del Cy Young Award. È stato indotto nella Hall of Fame nel 1991 e il suo numero “31” è stato ritirato dai Chicago Cubs.

[4] Il titolo originale è “Inside Pitching” (foto), libro molto raro, difficile da trovare

 

(la foto di copertina è tratta da www.magazine.it)