Racconti

Roberto Clemente, il campione del popolo

31 Dic , 2018  

di Giuseppe Carelli

Manny Sanguillen parlò con Roberto Clemente. Era un Venerdì, qualcosa come 30 ore prima dell’avvicinarsi del giorno dell’ultimo dell’anno, quando il tragico incidente d’aereo costò la vita a Roberto e altre 4 persone. “Roberto mi guardò!”, disse Manny con i suoi occhi tristi. “Sangy, in quale ruolo giochi nel campionato invernale?”, chiese Clemente. “Gioco esterno destro e qualche partita all’esterno sinistro!”, rispose Sanguillen. Manny “Sangy” Sanguillen era il catcher dei Pittsburgh Pirates negli anni 70′ ed era anche lui portoricano e grande amico di Clemente. Con il suo solito sorriso e con tono scherzoso Roberto disse a Manny che doveva giocare nel ruolo di esterno sinistro oppure nel ruolo di ricevitore perchè non c’era nessuna possibilità che potesse rubargli il posto di esterno destro. “Oh sto scherzando!”, disse Sanguillen, “Comunque gioco abbastanza bene in quel ruolo e quando tu smetterai forse sarò il miglior esterno destro!”. Clemente sorrise squotendo la testa, un tic nervoso, causato anni prima nel corso di un incidente d’auto dove Roberto rimase seriamente danneggiato alla schiena al punto che molti scouts pensarono che la sua carriera fosse compromessa. “Non potrai mai farcela, Sangy!”, disse Clemente, “D’altra parte, io sono meglio di te a ricevere!”, concluse Roberto ironicamente, avvolto intorno al suo classico sorriso latino. Pochi lo sanno, ma Clemente era bravo nel ruolo di catcher, poteva anche lanciare. Era la tipica persona che poteva fare qualsiasi cosa nello sport, un vero atleta completo. Ora se n’è andato, è triste, è fortemente triste per tutti. Clemente era stato selezionato per far parte della Comitiva Olimpica perchè aveva ottenuto ottimi risultati nel lancio del giavvellotto e nel salto in lungo. Ma il richiamo del guantone e della pallina furono come un totale magnetismo per lui. A lungo si era allenato per diventare un giocatore di Major League. Durante le notti lanciava la pallina contro la parete della camera da letto. Di giorno era in mezzo alla strada con manici di scopa e confezioni del latte simulando mazza e guantone. “È il caso di dire che si era impegnato alla morte per la gente di Managua!”, continua Sanguillen, e quando gli dissi che quel viaggio era molto rischioso, lui di colpo diventò serio come lo era il più delle volte nello spogliatoio. Gli dissi che Bill Mazeroski era il mio eroe e Roberto cominciò a chiamarmi “Polacco” ritornando col suo piacevole sorriso in volto”. Le ultime parole di quella sera, prima che me ne andassi a giocare, furono: “Ho comperato una scimmia ieri, e l’ho chiamata “Sangy!”. Adios amigo!”. E Roberto salì su quel maledetto aereo. Sanguillen è uno spirito libero, tutto il suo corpo è un fermento con tanta voglia di competizione. È il guerriero più felice che si possa trovare sul campo. Ma quando parla di Clemente i suoi occhi si stringono come le dita avvolte in un pugno. “Eravamo amici per la pelle!”, dice Manny. “Quando arrivai a far parte della squadra di Pittsburgh, lui mi fece conoscere tante persone, mi portava in posti belli e raffinati. Fece questo tutte le volte. Durante gli Spring Training Roberto mi ha insegnato come leggere il rimbalzo di una valida, come impostarsi per il rilancio e anche la tecnica per correre indietro verso la recinzione. Ormai non conta più niente, non c’è dolore peggiore che la perdita del più grande amico della vita”. Dopo il disastro, Sanguillen si tuffò più volte al largo della costa portoricana per cercare di ritrovare il corpo di Roberto. Arrivava a 15/20mt. di profondità. “Era buio là sotto. Non si vedeva bene e l’oceano era spesso agitato. Ogni giorno andavo nella zona dove era caduto l’aereo in fiamme, nuotavo intorno e mi immergevo. Ho visto quando hanno recuperato i resti del corpo del pilota. Era irriconoscibile. È stata proprio quella visione che mi ha fatto abbandonare le ricerche. Cinque giorni dopo, mi tuffai di nuovo nel punto dove alcune persone dissero che forse si vedeva qualcosa. Ma erano i pezzi dell’aereo. In più vidi anche uno squalo. Ne ho visti parecchi nella mia vita, ma quello era veramente grande”. Disse Roberto Clemente: “Il mio sogno è quello di poter assistere al mio funerale!”. Una triste profezia, forse uno strano sogno che in modo macabro si è avverato. Tom Walker, lanciatore, fu uno degli ultimi a vedere Clemente in vita. “Ricordo come se fosse ieri”, dice Tom, “Andammo insieme all’aeroporto e fu l’ultima volta che lo vidi. Lui mi salvò la vita perchè non volle che io salissi su quell’aereo”. All’annuncio del terremoto in Nicaragua e al successivo appello di Clemente arrivarono circa 7 tonnellate di viveri a disposizione per essere caricati sull’aereo. Walker, Sanguillen e Clemente caricarono i camion e andarono all’aeroporto per trasferire il carico su quel “Douglas DC-7”. Il velivolo era stato frettolosamente revisionato, ed era talmente pieno da non lasciare posto ad altri passeggeri. I due amici chiesero a Clemente se potevano salire sull’aereo, ma Roberto non volle dicendo che poteva essere pericoloso e in più sapeva che era “l’ultimo dell’anno” e sia Walker che Sanguillen avrebbero festeggiato con le loro famiglie.

I Mondiali di Baseball del 1972 in Nicaragua rappresentarono non solo un evento sportivo, ma soprattutto una manifestazione di carattere sociale e di solidarietà. Il Baseball in Nicaragua è sempre stato fonte di speranza e di luce negli occhi di una popolazione che ha conosciuto povertà e miseria, ma soprattutto violenza e ribellione come successe in quel periodo quando i Sandinisti dovettero affrontare il potere del pres. Somoza. Ho ricevuto per email la preziosa testimonianza di un giocatore della Nazionale che nel 1972 partecipò a quel Mondiale, e che visse in prima persona i tragici eventi accaduti in Nicaragua. Un grande campione, un atleta il cui contributo è stato determinante in molti dei successi della sua squadra. È Bruno Laurenzi di Nettuno. Imponente ricevitore e figura carismatica in quegli anni, dove il baseball, da sempre è l’espressione principale dell’entusiasmo e dell’ orgoglio degli abitanti della ridente cittadina tirrenica. Questo silenzioso e determinato atleta ha collezionato piu’ di 90 Homer e 500 RBI, di cui 43 erano vincenti. Confermando classe e grande spirito di sacrificio Bruno è un esempio perchè per lui non è mai stato importante apparire, ma esserci. Lo Slugger di Nettuno racconta un aneddoto importante di quella trasferta che aumenta la grandezza di un altro grande campione come Roberto Clemente. “Un giorno, in giro per la capitale Managua, entrai in un negozio per comprare una camicia tipica del posto. La proprietaria mi disse che erano finite perché mezz’ora prima era passato Roberto Clemente e le aveva comprate tutte. Quello è stato l’anno del grande terremoto in Nicaragua. Venti giorni dopo la nostra partenza successe la fine del mondo. Tra i primi alberghi a cadere ci fu proprio quello dove alloggiavamo noi facenti parte della squadra Nazionale Italiana. In seguito lessi sui giornali che Roberto Clemente con un aereo personale, pieno di viveri di prima necessità, intraprese il viaggio verso il luogo della tragedia per portare soccorso alla popolazione Nicaraguense. Ma fu vittima di un tragico incidente. Il suo aereo cadde per un’avaria al motore, e nel drammatico impatto, Clemente, all’età di 38 anni, perse la vita…. ed entrò nella leggenda, non solo come giocatore, lo era già, ma come custode e messaggero di una forte carica umanitaria, una carica che lo ha portato a misurarsi con i più grandi giocatori americani di baseball, una carica che trova le sue fondamenta nell’amore per la sua terra e per la sua gente. Va ricordato che Clemente era portoricano, ma il suo impegno umanitario era esteso a tutta la popolazione latino-americana. Un amore le cui vette sono accessibili solo a uomini speciali come Roberto Clemente che nonostante i pericoli della situazione, verrebbe da dire che si è consegnato proprio al suo destino. Secondo le cronache del tempo, il Nicaragua dopo il terremoto cadde sotto legge marziale. Erano anni di profondi contrasti sociali che opponevano le forze del presidente Anastacio Somoza contro quelle di Cèsar Sandino il quale riceveva supporto militare da Cuba e Unione Sovietica. Israele inviò una nave carica di armi in aiuto al pres. Somoza, ma il carico venne intercettato e il pres. Americano J.Carter ordinò alla nave di rientrare in Israele. Il terremoto piegò letteralmente le gambe ad una popolazione che già viveva in drammatiche condizioni di povertà aggiungendo la tremenda piaga dello sciacallaggio. Tre aerei carichi di viveri e di aiuti vennero intercettati dagli ufficiali del pres.Somoza, e non giunsero mai a destinazione. R.Clemente decise allora di muoversi personalmente per permettere al carico di arrivare a destinazione. Nonostante gli fu sconsigliato di compiere un’azione così avventata e piena di rischi, Clemente salì sul quel fatale volo N°4 per non far più ritorno, lasciandoci la memoria di un grande uomo e di un giocatore delle meraviglie. Quattro titoli di Media Battuta e 12 volte Gold Glove. C’è un record particolare che solo Clemente detiene in tutta la storia del Baseball. Il giorno 25 del mese di Luglio dell’anno 1956, i Pittsburgh vinsero contro i Cubs 9 a 8 grazie all’unico e storico WALK-OFF INSIDE-THE-PARK-GRAND SLAM. Il campo era il Forbes Field, famoso al tempo perchè la zona dell’esterno centrale copriva una distanza di oltre 140mt da casa base.

    (NELLE FOTO CON CLEMENTE I DUE CAMPIONI NETTUNESI, BRUNO LAURENZI E GIORGIO COSTANTINI)

Roberto Clemente è considerato uno dei migliori giocatori di sempre, il migliore proveniente da Porto Rico. La sua fama si consolidò negli anni ’70, stagione dopo stagione, partita dopo partita, AB dopo AB. Clemente vinse numerosi award che lo portarono ad essere adorato dai suoi tifosi in Pittsburgh. Con la squadra dei Pirates vinse due World Series e specialmente nell’ultima edizione, quella del 1971, fu autore di una prestazione tra le migliori che si siano mai viste nella storia. Pur toccando l’apice della “performance” in attacco, in difesa e sulle basi, ciò che lo rese ancor più ammirevole fu la sua grande dote umanitaria e la suo forte senso altruista. Come tutti sanno, nel Dicembre del 1972 Roberto Clemente rimase vittima in un incidente d’aereo durante il viaggio che lo avrebbe portato in Nicaragua per dare supporto alla popolazione, vittima di un terribile terremoto. Il suo corpo non fu più ritrovato ma Roberto era già entrato nella leggenda e il termine “superstar” assunse per lui un significato inadeguato considerando le sue immense abilità atletiche e la sua forte carica umanitaria che lo portarono nell’Olimpo degli immortali. Nel 1972 Clemente ottenne la battuta valida n° 3000, l’undicesimo atleta di tutta la storia ad ottenere questo prestigioso traguardo. Sabato, 30 Settembre 1972, Clemente era a quota 2999 valide e mancavano 2 partite alla fine della stagione. Anche un forte battitore può restare senza valide in due partite, e i Pirates dovevano affrontare i New York Mets i quali possedevano ottimi lanciatori. Il partente per i Mets fu un impressionante giovane mancino di nome Jon Matlack. Alla prima ripresa Matlack ottenne uno strike-out su Clemente. Alla quarta ripresa Clemente ritornò alla battuta e Matlack andò subito in vantaggio con una fastball. Con il conteggio 0-1 il lanciatore effettuò un lancio curvo e Clemente impattò il lancio per spedirlo nella zona del centro-sinistra. Con un paio di rimbalzi la pallina raggiunse la recinzione. L’esterno la raccolse immediatamente e la rilanciò verso il diamante ma Clemente era già sul sacchetto di seconda. Era la sua 3000esima valida e l’arbitro di base gli consegnò la pallina del record. Roberto Clemente fu il primo atleta Latino ad ottenere un simile traguardo. La vicenda è narrata in un film. “Chasing 3000”, la storia di due fratelli che partono da Los Angeles diretti a Pittsburgh per assistere all’ultima partita di stagione con Clemente fermo a quota 2999 valide. Tra gli attori vi è un bravo Ray Liotta, non nuovo ai film dedicati al baseball. È un “road movie” dove il viaggio dei fratelli è ricco di incontri con personaggi singolari e strani tra i quali vi è un vecchio contadino che racconta quando Clemente gli diede una pallina durante una gara contro St.Louis. La fine vede il nonno che conduce i ragazzi a vedere la partita perchè ha rimediato i biglietti. La mamma, alla ricerca dei figli che erano scappati da casa, capisce che sono allo stadio. Immagini molto belle e commoventi. Il giorno 31 di Dicembre, non rappresenta soltanto un futile cerimoniale per l’anno nuovo, ma questa data ci può far ricordare che valori come la solidarietà e la restituzione della dignità umana rappresentano le uniche sorgenti di vita per poter camminare su questo pianeta. Esse sono le risposte alla continua repressione che i potenti esercitano a danno dei più deboli. Roberto ha lasciato un forte messaggio, sacrificando se stesso.