Racconti

VIAGGIO A L’AVANA – I FANTASMI DEL BASEBALL (PARTE SECONDA)

5 Mag , 2022  

un diario di

Ignazio Gori

(15 marzo – 4 aprile 2022)

 

Gettate pure il mio cuore in un bicchiere di rhum.

(Leo Longanesi) 

A L’Avana scarseggia il combustibile e i prezzi sono molto alti; retaggio della sanguinosa guerra in Ucraina. I tassisti fanno lunghe file ai distributori per pochi litri, sperando che i clienti della giornata siano sufficienti almeno per ripagare da bere alle loro vecchie Cadillac e Chevrolet. 

Non c’è dubbio che i cubani siano i più grandi meccanici del pianeta. Molti riescono a fabbricare da soli, armati solo di obsolete saldatrici, pezzi di ricambio per automobile fuori commercio da sessanta, settant’anni.  Il padrone del mio hotel – ci tiene a precisare: “Industrialista doc!”ha una Ford del ’56, splendida, bianca e arancione. Chissenefrega se i finestrini sono tenuti su da cacciaviti a incastro, se la pelle dei sedili è screpolata e l’odore forte di benzina ti stordisce come un allucinogeno …  Mi piacerebbe guidarla on the road, attraversando tutta Cuba, fino alla tierra del fuego, fino a Santiago, dormire sotto le stelle con Gardenita al mio fianco e magari non tornare più indietro, dimenticare me stesso in un sogno caldo e sinuoso …  

 

Alle undici del mattino inizio a bere daiquiri al Floridita, il locale all’angolo tra calle Obispo e calle Monserrate, dove il vecchio Ernest Hemingway andava ad annegare i suoi tormenti e i suoi sogni di pelota perché anche il vecchio Ernesto era dei nostri. 

Quando la testa inizia ad essere così leggera da assorbire la malinconia de L’Avana Vecchia come melassa, è ora di recarsi al Latinoamericano, dove arriva la seconda sberla consecutiva inflitta da Las Tunas agli Industriales, di nuovo due gare sotto il 50% di vittorie. Troppo forte il lineup dei Leñadores che con Yordanis Alarcòn e Danel Castro infuocati e 17 valide totali hanno steso il monte dei Leones, fissando il punteggio finale sul 4-11. 

Viaggio a Cuba

Las Tunas sarà a mio avviso una delle serie pretendenti al titolo finale di questa 61° edizione della Serie Nacional. 

Al settimo inning i tifosi di casa iniziano a sfilare fuori, più che altro i giovani e i giovanissimi, che resi più cinici dai tempi che corrono, non sono più in grado di credere a una rimonta, di sperare, di sognare. Ma ora lasciatemi dire una cosa: se io fossi un “nuovo Fidel”, l’unica regola dittatoriale che imporrei al pueblo della pelota sarebbe il divieto di abbandonare lo stadio prima dell’ultimo out, anche se la propria squadra dovesse essere sotto di venti punti. Perché il baseball è un miracolo e sulla fiammella di un miracolo non puoi soffiarci sopra in anticipo. È la regola numero uno di questo sport, Yogi Berra dixit: non è finita finché non è finita! O, se preferite, per dirla come l’avrebbe detta Armandito “el Tintorero”: tutto può accadere, con l’aiuto di San Lazaro! 

I giovani vanno rieducati alla speranza, al sogno.  

 

Oggi sono stato molto felice di incontrare Frank Camilo Morejòn, l’ex catcher degli Industriales e di Parma, che avevo intervistato per il Bar del Baseball qualche tempo fa. Ogni tanto ci scriviamo su whatsapp ma non ci eravamo mai visti di persona. Allo stadio è stato letteralmente rapito dai bambini per scattare foto ricordo e scambiare strette di mano con amici e vecchi compagni di squadra. Frank ha i capelli impomatati e lo sguardo intenso, sembra un attore delle telenovelas messicane – molto seguite qui a Cuba – e le ragazze lo braccano. C’era lui a difendere casabase nel 2010, l’anno dell’ultimo titolo nazionale vinto dai Leones. Ora si attende, si spera, quizàs, quizàs … 

A proposito di telenovelas …

Da bambino ero innamoratissimo di Grecia Colmenares, attrice venezuelana di una serie di culto negli anni ’80, Topazio.  Mi ha fatto una strana tenerezza vedere il saloon di un barbiere, al Vedado, completamente tappezzato di foto ritagliate di Grecia. C’è addirittura un grande poster firmato: A Raùl, con sentimiento, Grecia. 

Sapete dov’è l’unico fanclub di Grecia Colmenares nel mondo?

A Napoli!  

Beh, amici, non ditemi che non ho ragione: L’Avana e Napoli, la misma alma.   

 

Voglio disperdermi tra i vicoli anneriti dell’Avana Vecchia, del Barrio Chino, e compro ogni sorta di guida alternativa. La migliore sinora è senz’altro Altravana, nel cuore di una città perduta, del parmense Davide Barilli, che ha saputo tracciare una autopsia urbana poetica, straziante e malinconica. Mi attraggono in particolar modo i vecchi cinema degli anni ’30 e ‘40, ridotti ormai a carcasse in decomposizione, rifugi per piccioni: La Rampa, il Charlie Chaplin, El Mègano… in uno di questi – avevo bevuto troppi daiquiri per ricordarmi quale – davano Le lacrime amare di Petra von Kant, un grande film Rainer Werner Fassbinder. Ho sempre amato vivere il cuore pulsante delle città, lo facevo anche ad Amsterdam. Mi affascinano le vene sanguinanti, i pertugi più oscuri. Mi infilo nelle minuscole boteguitas dove si vendono cianfrusaglie, libri strappati e vecchie foto. Sono in cerca dei vecchi dischi di Bola de Nieve, che non si trovano più e della prima edizione de Il Re dell’Avana di Pedro Juan Gutierrez, ma trovo alcune foto di Fidel e di Che Guevara che giocano a baseball, nel lontano 1959, in maglia Barbudos. Una chicca per la mia collezione. 

I Toros di Camaguey, finalisti nel 2020, arrivano a L’Avana per un doppio confronto ed hanno una partita di ritardo rispetto agli Industriales. Il Latinoamericano brulica di tifosi nel sabato pomeriggio del Cerro, stranamente fresco. Gardenita siede accanto a me e prega in silenzio per la sua squadra del cuore, in special modo per Leslie Anderson, potente DH capace di far male nel box di battuta. 

La partita, salda sull’uno pari, si sblocca nella parte bassa del quinto, quando Andrès Hernàndez, dopo due tentativi falliti negli inning precedenti, riesce finalmente a battere la carrera impulsada del 2-1 che diventa subito 3-1 dopo che l’arbitro ribalta la decisione di un out in prima con l’aiuto del review. I tori, sterili in battuta, non riusciranno più a superare i padroni di casa. La gara finisce 5 a 3 per L’Avana.  

Nella seconda gara, prevista il giorno dopo, perdura ancor più sterile l’attacco ospite, in un Latinoamericano gremito di tifosi, il cui sostegno è scandito da una conga travolgente. Finisce 4-0. Bene i soliti mattatori Yasiel Santoya, Andrès Hernàndez e il receptor Oscar Valdès. Gran prestazione del partente degli Industriales Yudiel Rodriguez che completa otto innings senza concedere nemmeno un punto al lineup di Camaguey, che ora si ritrovano a meno cinque dalla soglia della sufficienza e a due gare e mezza dall’ottavo posto. Per gli Industriales la doppietta inflitta a Camaguey vale l’aggancio a Villa Clara. Saranno molto importanti, dopo il giorno off di domani, le restanti cinque gare casalinghe, tre delle quali contro Santiago e due contro gli “indians” di Guantanamo che quest’anno impensieriscono poco ma che hanno un Pedro Revilla – catcher – in gran spolvero, autore già di 13 “pepitoni”.  

Certo non siamo ai tempi epici di Rey Vicente Anglada, ma ogni vittoria dei biancoazzurri suscita un entusiasmo sfrenato negli abitanti del Cerro, che dopo ogni vittoria adorano alzare a palla il volume delle loro radioline sul brano En la calle hablan de beisbòl, l’inno di casa. Come i Diablos Rojos di Città del Messico, i Boston Red Sox o gli Hanshin Tigers in Giappone, così gli Industriales sono tra i club che possono vantare un tifo viscerale, totalmente mescolato all’humus quotidiano dei loro tifosi, nell’identificazione socioculturale di una città, di un intero costrutto urbano. 

 

I gamberi alla creola valgono quanto un orgasmo, mentre la negra opulenta dell’orchestrina del Floridita canta “Besame, besame mucho, como si fuera esta noche la ultima vez …”. È una notte soave e felina. Gardenita è una stella scintillante, sembra la copia sincretica della negra e sensuale Oshun, la dea Yoruba del fiume, un fiume che ormai mi scorre dentro, senza fine …  

Poi un tassista del Parque Central, al limitar dell’alba, uno di quelli che quando la pelota era la pelota si emozionava fino a piangere, mi confessa che per lui sedici squadre sono troppe, occorrerebbe tornare a otto, in modo da compattare il livello del talento e rendere più agguerrita e spettacolare la Serie Nacional. D’altronde, se ci fate caso, il Giappone, paese per territorio molto più grande dell’isola di Josè Martì, ha una massima serie a sole dodici squadre, sei per lega. 

Tutto il mondo è paese, cari amici del Bar del Baseball, e mi vengono in mente le polemiche sul nostro campionato che durano da anni riguardo il numero ideale delle partecipanti alla Serie A, quel numero magico che esprimerebbe al meglio il livello potenziale – finanche non elevato – di una nazione sportiva. Per me, qui lo dico e non lo negherò, una Serie A con otto squadre sarebbe l’ideale. Credo che i due campionati messicani e quello cubano si siano spinti un poco oltre con l’espansione. Per la Hoofdklasse olandese, visto il territorio nazionale, nove club sono decisamente troppi, perfetti i cinque di Taiwan, i dieci della KBO coreana e gli otto del Venezuela.  

È ovvio che l’espansione è il futuro, l’obiettivo costante della WBSC, coprire maggiore territorio possibile, attirare l’attenzione mediatica in paesi nuovi e fertili … ma col baseball bisogna andarci cauti, col baseball bisogna essere romantici, rispettare la lentezza del tempo, l’ottimizzazione del sentimento. Sono dunque tendenzialmente propenso alla filosofia della minimizzazione, quella del tassista del Parque Central, che non mi ha fatto pagare la corsa fino in hotel solo perché sono malato di pelota. Solo a Cuba può succedere, hermanos!    

I bar, i ristoranti, i negozi, aprono e chiudono alla velocità di un battito di ciglia. Se finiscono le scorte o non si ha possibilità di pagare la corrente elettrica, si abbassa la serranda. L’importante è dare sempre la colpa al bloqueo, l’embargo degli americani. Quando riapriranno? Chissà! Ma qui si aspetta, è normale. Il popolo cubano è il più grande “codista” del mondo. L’arte di fare la coda (nei negozi, anche per ore, nelle pubbliche istituzioni, negli ospedali …) l’arte di aspettare, è intrinseca (purtroppo dice qualcuno, ma non i più anziani) all’easy leaving tropicale, a un certo tipo di rassegnazione che sconfina in una calda malinconia. Cuba ha i tempi di attesa più lunghi del mondo. Potrei scrivere un saggio intitolato Hacer la cola. Poetica del perder tempo. Forse lo scriverò, chissà, con calma mi consiglierebbe un vecchio cubano.  Intervistare alla Ciudad Deportiva due istituzioni del baseball havanero, come Rey Vicente Anglada e Rolando Verde è stato per me un piacere, nonché un tuffo nella gloria del passato. 

Anglada, tra i migliori seconda base della storia della pelota cubana e grande appassionato di musica, dopo aver vinto tutto con le imbattibili nazionali degli anni ’70 e ’80, da manager ha condotto gli Industriales a tre titoli della Serie Nacional. In città è molto amato, un mito intoccabile, a volte se fai il suo nome ti offrono un caffè, un bicchiere di rhum. Verde invece, visto anche a Bollate come coach, potente terzabase con 304. di media battuta in sedici anni di carriera, mi racconta con particolare piacere la parte recitata nel film di culto “En tres y dos, diretto da Rolando Diaz – mai uscito in Italia purtroppouna pellicola che annunciava il titolo vinto dagli Industriales nel 1986, dopo tredici anni di digiuno; una vittoria talmente sentita dalla tifoseria da diventare emblematica del corazòn azul. 

Sia in Anglada che in Verde, simpaticissimi, scorre sangue azzurro nelle vene e quando parlano sembra di sentirli cantare, come vecchi rumberi. Verde mi racconta della più grande rivalità del baseball cubano, L’Avana contro Santiago, l’equivalente di Real Madrid-Barcellona nel futbòl spagnolo. Dodici a otto il vantaggio del club capitolino sull’ex squadra del grande Orestes Kindelàn, riguardo i titoli nazionali. Per le “Avispas”, le vespe della tierra del fuego, salire fino a L’Avana equivale ad arrivare al Polo Nord, il vento fresco che spira dal golfo del Messico è come gelida bora per i calienti guajiri del sud, sfottuti in capitale come i “terroni” a Milano.  

 

Prima di recarmi al Latinoamericano, pranzo come sempre al “Vampirito”, una caffetteria che va di moda nel Vedado. 

C’è sempre la fila, anche ad orari che per gli italiani paiono assurdi per mangiare. Pare ci abbia mangiato una volta persino Fidel, ma se dai ascolto a tutti, il lider maximo ha desinato in ogni bar o ristorante della città, un po’ come Pier Paolo Pasolini a Roma; leggende metropolitane utili ad accrescere il fascino culturale di un luogo e attirare clienti. 

Per quanto riguarda il menù del “Vampirito” da evitare la lazaña hawaiana (sic!) se non si vuol passare una notte insonne, meglio i gamberi alla creola, molto buoni e il lomo ahumado con riso e fagioli neri. 

Dunque gli Industriales ripartono da un record di 21 vinte e 21 perse e per la prima delle tre gare contro Santiago lo stadio brulica di tifosi. Nutrita anche la tifoseria rossonera delle Avispas che hanno tre partite e mezzo di vantaggio sui padroni di casa. Al terzo inning due errori della difesa di Santiago permettono alla squadra di casa di portarsi in vantaggio 4 a 1, mentre la conga imperversa, fomentando i tifosi. Lo stadio esplode al quarto inning quando un potente homerun da tre del prima base Santoya porta L’Avana sul 7 a 2. 

Santiago si riavvicina al settimo, quando il rilievo di casa, subentrato a un buon Pavel Hernandèz, concede a basi piene due Brigitte Bardot che nel gergo di noi Baristi equivalgono a basi su ball – permettendo agli ospiti di rubare due carreras. Ma sarà infine Andresito Hernandèz a siglare all’ultimo inning con un rbi il nono e definitivo punto della sicurezza. Carmona tira un sospiro di sollievo, gli Industriales scollinano quota 50% e rientrano in zona playoffs, ma ci sono altre due gare contro Santiago e dopo un giorno di pausa altre due contro Guantanamo, fondamentali per il cammino verso la post season

 

Una domanda per tutti gli appassionati del – come direbbe il nostro amico Faso – meravigliuoso giuoco del baseball: chi è stato il primo e unico presidente degli Stati Uniti ad entrare al Latinoamericano per assistere ad una partita?

Ma semplice, amici: Barak Obama, il 22 marzo del 2016, in occasione di una amichevole tra la nazionale cubana e i Tampa Bay Rays della Grandes Ligas. Un giorno simbolico particolarmente importante, visto che erano 88 anni (sic!) che un presidente yankee non visitava l’isola. Il primo lancio fu effettuato da due leggende cubane, Pedro Luis Lazo e soprattutto Luis Tiant, grande lanciatore dei Boston Red Sox dal 1971 al 1978, nonché membro della Hall of Fame delle stesse Medias Rojas. Davanti a Obama e Raul Castro, Los Rays vinceranno la partita per 4 a 1. Occhi puntati sul prima base di Tampa, Dayron Varona, che verrà ricordato come il primo cubano a giocare una gara in patria dopo averla disertata. 

 

Gli Industriales completano lo “sweep” casalingo ai danni delle eterne rivali delle Avispas di Santiago con un walk off homerun da tre punti di Menocal che fa letteralmente esplodere un Latinoamericano gremito. 9 a 8 lo score finale e L’Avana che si porta in piena zona playoff, 24 vinte e 21 perse, a quattro gare e mezzo dalla capolista, i sorprendenti Gallos di Sancti Spiritus. A farmi compagnia nel prepartita la prosperosa Zurelis Marichal, sposa del prima base e esterno Lisbàn Correa, mvp della Series Nacional 2020, attualmente in Messico. Simpaticissima leonessa della tifoseria degli azules, Zurelis è molto gentile a donarmi il cappellino della squadra di casa e farmi conoscere i tipi più pazzi del Cerro.   

La strada che porta al santuario di San Lazaro attraversa campi e agglomerati di povere casupole, oltre Santiago de Las Vegas. Oltrepassato il passaggio a livello della stazioncina ferroviaria di Rincòn, che sembra uscita da un film di Sergio Leone, iniziano ai bordi della strada, all’infinito, bancarelle di girasoli e maialini arrosto. 

Davanti al piazzale della chiesa ci sono malati, vecchi con galli legati al guinzaglio, uomini con canarini azzurri chiusi in piccole gabbiette, donne enormi che fanno fatica a camminare … il santo degli animali e degli infermi sarà magnanimo con tutti. Il culto è molto sentito. Io e Gardenita accendiamo una candela, non riuscendo a trattenere le lacrime. La cappella degli ex-voto è piena di magliette, guantoni e palline da baseball firmate da ex giocatori che hanno avuto la grazia di un fuoricampo inaspettato, o meglio ancora, di un contratto all’estero, negli Stati Uniti o in Giappone, perché la pelota qui è una benedizione in grado di salvare molte famiglie. Vecchi cantanti di bolero e guajiros giunti da tutte le provincie di Cuba fanno la fila per pregare davanti all’icona sacra del santo, la cui fede si regge in bilico tra il cattolicesimo e la religione yoruba afrocubana. 

I santeri, tutti vestiti di bianco, risplendono, sotto il sole a picco, come abbagli accecanti. Quasi non riesco a tenere gli occhi aperti, mentre Gardenita mi stringe la mano, sussurrandomi all’orecchio: “San Lazaro è grande, san Lazaro è grande …”.       

Ho camminato sulle strade dissestate di Calle Tamarindo, di Calle Flores, nel Cerro più profondo. I travestiti. Le jineteras. La gente che aspetta ore un autobus pur sapendo che non arriverà mai. Vecchi dal viso smunto che vendono sigari di foglie di banano. Bambini che giocano a baseball con qualsiasi cosa: tappi di bottiglia, manici di scopa … A casa di Zurelis una vecchia signora dice di essersi innamorata di me. Non voleva lasciarmi andare via. Dice che qualora volessi tornare a L’Avana potrei dormire da lei, gratis. I cubani hanno un cuore grande. Mi ha preparato riso, fagioli e un caffè delizioso, mentre suonava la salsa dell’idolo locale, El Niño y La Verdad del quale amo particolarmente la cover di Alma mia di Bola de Nieve, i cui richiami sensuali e tristi non smettono di tormentarmi.

 

Mi sono svegliato accanto a Gardenita, con il sole e la frescura del mattino e le colorate voci del Vedado che entravano dolcemente dalla finestra. Mi sento come sopravvissuto a una visione celestiale. Ho sognato San Lazaro e Santa Maria Goretti che si abbracciavano in riva al mare. Forse sulla spiaggia di Nettuno o quella della Playas del Este, ma non ha importanza. L’importante è sentirsi fratelli nello spirito, amare incondizionatamente, come se tutti ci conoscessimo da sempre, in un sogno che non ha avuto inizio e non avrà fine.   

Il desiderio di Gardenita è vedere la neve. Ne sono sicuro, un giorno finalmente nevicherà anche a L’Avana e sarà un sogno bellissimo.


(Fonte immagini: Archivio privato di Ignazio Gori)

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