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Alfonso Gualtieri: con i miei ragazzi giro il mondo

30 Ago , 2021  

di Cristina Pivirotto

Si è concluso da pochi giorni il programma di BASEBALL WITHOUT FRONTIERS, un lavoro di cui «Il Bar del Baseball» ha parlato molte volte. L’ultimo appuntamento di questo primo anno ha radunato i ragazzi a Nettuno, in casa Lions, la società di baseball di Alfonso Gualtieri.

Gualtieri è persona molto conosciuta nell’ambiente del baseball giovanile ed è capace di offrire, ad ogni nuova stagione, tante opportunità di gioco e di apprendimento per i ragazzi, non solo per quelli della sua società, ma anche per quelli che arrivano da ogni parte d’Italia per partecipare alle sue iniziative.

Approfittiamo di questo appuntamento di chiusura del programma che Gualtieri ha ideato e portato avanti con Marco Mazzieri, per parlare anche del suo modo di lavorare con i giovani.

Allora com’è andata questa nuova avventura di BASEBALL WITHOUT FRONTIERS? Avete finito la prima stagione?

Si, abbiamo finito. Più che altro hanno finito, io non ho finito ancora… E’ stato un finale molto bello. Abbiamo fatto un camp al quale hanno partecipato 40 ragazzi. Abbiamo fatto 4 squadre per farli giocare tutta la settimana.

Quindi era un turno di BASEBALL WITHOUT FRONTIERS molto pratico.

Era praticamente la chiusura di quelli che sono stati fatti in modo specifico: a Rovigo è stato fatto per i lanciatori; a Castiglione della Pescaia per gli esterni e la battuta. Poi è venuto Francisco Cervelli e si è lavorato anche sui ricevitori. Qui è stato racchiuso il riassunto di tutto quello che è stato fatto prima e, chiaramente, la conclusione è stata messa in pratica nelle partite. 

Visti così tanti ragazzi mi sono chiesta se quelli che non erano nei corsi precedenti si sono trovati un po’ svantaggiatati.

No, perché, mentre dalle altre parti ci sono stati sei o sette tecnici, qui ci sono stati la bellezza di 16 tecnici! Tutti i ragazzi sono stati ben seguiti.

Ho visto persone che parlavano ai ragazzi, seduti sulle tribune. Che ruolo avevano quelle persone?

Ho chiamato un mio amico che è mental coach per parlare con i ragazzi. Io ho frequentato il corso per mental coach, ma far venire una persona esterna all’organizzazione mi è sembrata una soluzione più giusta, così ho chiamato un mio amico e lui ha fatto un paio di lezioni ai ragazzi.

E il mental coach ha lavorato sull’aspetto specifico per il baseball o in senso più generale?

Quando si parla di mental coach si parla sia di sport che di mondo lavorativo, perché poi le regole sono sempre le stesse. Si parla di autostima e la devi avere nella vita come nello sport. L’autostima è la stessa tanto che tu faccia il giocatore di baseball o di calcio o di qualunque altro sport. Non cambia la materia che sta alla base. Anche se vuoi affrontare un discorso professionale, devi fare un discorso di autostima perché se tu sei il primo a non crederci, non vai lontano.

E in questo senso con i ragazzi com’è andata? Perché l’età è delicata …

Molto bene. Mentre il mental coach parlava, loro facevano delle domande ed è diventato un po’ il modo per scambiarci le opinioni, per fare domande. La mia impressione è stata questa: noi sull’argonento mental coach, in Italia, non siamo troppo informati. Non abbiamo ancora la cultura di qualcuno che ci aiuta a livello mentale. Così andiamo in campo, ci alleniamo, ci alleniamo, ci alleniamo, per esempio, in battuta. Poi il giorno che arrivi in campo, ti sei allenato tanto e magari non produci per quanto ti sei allenato. Perché? Perché magari nel momento che tu vai in battuta la testa non lavora nel modo giusto. Quindi tu ti sei allenato tanto, però subentrano le ansia le paure ecc. Subentra l’ansia da prestazione. Dici «io mi sono allenato tanto, sono andato là, ho preso il primo strikeout». Vai a battere la volta successiva e dici «Io mi sono allenato tanto e ho preso strikeout prima.» e ne prendi un altro. Quindi voglio dire, tu ti puoi allenare tanto, ma se il pensiero non è quello giusto ti puoi allenare come vuoi, ma è la testa quella che comanda, Questo vale per la battuta, ma anche per la difesa e in qualsiasi altra situazione. Quindi abbiamo fatto capire questo, cioè non è che in due lezioni fai capire tutto, però hai dato modo ai ragazzi di capire di che cosa stiamo parlando. E ti posso dire che stavano tutti incantati ad ascoltare, durante la lezione che stavamo facendo, non si sentiva un fiato, non si sentiva volare una mosca.

Intanto bravi gli insegnanti, perché tenere viva l’attenzione di ragazzi così giovani, non è facile.

Certo, certo. E ho visto che parecchi hanno capito il discorso che noi volevamo affrontare con loro, anche se in maniera così leggera, perché non siamo entrati nello specifico. Il giorno dopo la seconda lezione con il mental coach è venuto Marco Mazzieri che ha ripetuto alcune cose che aveva detto il mental coach. Quindi i ragazzi hanno capito che c’erano dei fondamenti comuni tra le varie lezioni. Marco Mazzieri, quando ha parlato della battuta, è andato sullo specifico In conclusione penso che abbiamo fatto un lavoro che è la prima volta che si fa in un camp, ma di livello altissimo.

Parliamo del lavoro che resta da fare a Alfonso Gualtieri da adesso fino alla fine della stagione, perché abbiamo detto che per te c’è un seguito: anche quest’anno c’è l’America?

quest’anno c’è Barcellona, poi c’è l’America. poi c’è il Giappone. Oltre a questi riprenderà, a novembre, qui a Nettuno, il torneo di Halloween, che è stato fermato, l’anno scorso, dal COVID.

I ragazzi che hanno partecipato a BASEBALL WITHOUT FRONTIERS saranno nel gruppo che partirà per l’estero?

Si, ci saranno anche loro.

Ogni anno cambi gli itinerari dei dei tuoi viaggi?

Partecipiamo a un mondiale per club e per selezioni e la nostra meta dipende dal Paese che lo ospita. Due anni fa lo abbiamo ospitato noi, a Nettuno e c’erano trecento ragazzi, poi una volta capita a San Francisco, una volta capita in Giappone, una volta capita in Corea, cioè è itinerante e ogni anno si decide l’anno dopo dove si disputerà.

E quest’anno perché hai scelto tre mete?

Perché sono cose differenti: a Barcellona facciamo la settimana del baseball; a marzo andiamo a vedere lo spring training delle squadre americane. Quello è un viaggio un po’ più turistico, anche se sportivo, perché facciamo qualche amichevole e in più andiamo a vedere le squadre di Major League che si allenano. Invece in Giappone facciamo il Tournament Boys League che è un torneo mondiale che vede iscritte squadre di tutto il mondo. Quest’anno ospiterà il Giappone, poi ci dovrebbe essere San Francisco e poi si ritorna in Italia. Tre anni fa è stato fatto in Australia, poi a causa del COVID si è fermato per un anno.

E questo torneo quanto dura? E quante squadre partecipano?

Dura circa 10 giorni e partecipano, vado a memoria, Giappone, Corea, Taipei, Messico, Australia, Italia, Germania. Qualche volta viene organizzato in Brasile o in Perù; dipende dalle squadre che si iscrivono.

Forse in Italia non è troppo pubblicizzato.

Non è pubblicizzato, perché a nessuno interessa. Ho provato a farlo capire anche ad alti livelli, però comunque io vado avanti per la squadra mia. Se cerchi su Internet WORLD TOURNAMENT BOY LEAGUE ti rendi conto di quello che facciamo. Noi abbiamo fatto eventi un po’ in tutto il mondo e, spesso, non ho il tempo di pubblicizzare tutto quello che facciamo, perché è tutto un movimento continuo. A me interessa fare, le cose che ho fatto le conoscono tutti. Non faccio in tempo a pubblicare un annuncio che ricevo immediatamente adesioni. Il passaparola tra ragazzi è velocissimo. Quindi ho capito che non è necessario apparire sulle prime pagine. Ricevo sempre decine di attestati di stima e di affetto da parte dei ragazzi e dei genitori, ma anche dai tecnici che intervengono alle mie iniziative.

Tu sei una sicurezza per ragazzi e genitori, in quanto a organizzazione di eventi. E’ un bel traguardo ricevere la loro fiducia.

Infatti e queste cose non stanno sui media e io le tengo per me. Ci sono ragazzi che hanno chiamato dicendomi: «Alfonso io non sono più under 18, ma posso venire lo stesso?». Ovviamente ho risposto che possono venire quando vogliono. Quando ho pubblicato sulla pagina dei Lions che facevo questo camp, mi ha telefonato un ragazzo di Roma che non ha mai giocato a baseball, però ha detto: «A me il baseball piace, non ho mai giocato, ma potrei venire a fare il camp». Ho risposto di si e questo ragazzo è stato inserito nel gruppo e ha lavorato con gli altri. E alla fine mi ha chiesto: «Ma io posso tornare l’anno prossimo?». Questo è un ragazzo già grande, eppure ha ancora voglia di partecipare. Perché fermarlo?. I ragazzi non sono numeri e non mi tiro mai indietro quando fanno delle richieste, sia che appartengano ad altre società, sia che chiedano cose che non riguardano il mio ruolo nel baseball. Mi presto lo stesso, metto in campo le mie amicizie personali, se è il caso. Questo è il lavoro che facciamo anche con BASEBALL WITHOUT FRONTIERS, dove ciascuno di noi ha la stessa visione e lo stesso comportamento nei confronti dei ragazzi. Nel nostro sport vengono prima le persone e i sentimenti, questa è la cosa che ci tiene uniti. Dietro ogni caso ci sono storie emozionanti e commoventi, che hanno dato tanto a me, come ad altri. Io voglio continuare a fare queste cose in questo modo. Nascono amicizie che vanno oltre lo sport. Questo è quello che mi serve per andare avanti. Ho una visione della mia presenza a disposizione del baseball giovanile e le dimostrazioni di affetto che ottengo sono la mia energia, sono tutto quello che mi serve.

Queste realtà sono poche e chiuse, ma sono l’emblema della libertà. Senza paure vanno avanti, confidando nelle proprie capacità e nei valori profondi delle persone, ancora prima delle possibilità tecniche. Sono persone lontane dall’egocentrismo, pronti a mettersi a disposizione con la stessa dedizione di un genitore, formando un movimento, silenzioso e attivissimo, che costruisce fondamenta per il futuro senza chiedere niente, dando solo una forza di vita.

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