News

Enzo Di Gesù: uno dei giornalisti pionieri del baseball italiano

2 Apr , 2020  

di Emanuele Tinari

Da qualche giorno ci allieta sul “Bar” con delle foto e notizie riguardanti il passato tramite il “suo” TuttoBaseball, giornale storico del batti e corri italiano, fondato da Giorgio Gandolfi in cui Enzo è stato caporedattore e tuttofare.

“La passione per il baseball è nata da giovane e l’ho giocato fino all’inizio della mia carriera universitaria. Poi qui a Torino c’era solo il campo di Passo Buole, troppo distante da dove ero io e ho dovuto mollare. Poi ho iniziato seguendo il baseball americano che all’epoca era davvero un’impresa. Sono riuscito ad abbonarmi ad un settimanale statunitense e quindi ero aggioranato riguardo i fatti oltreoceano. Poi nel 1976 ho iniziato con TuttoBaseball, inizialmente seguivo anche il calcio, sempre con Giorgio Gandolfi avevamo anche un settimanale sul calcio “Calciofilm” su cui il martedì uscivano foto della Juventus e del Torino, poi aumentata la mole di lavoro ho preferito buttarmi solo sul baseball”.

Un baseball quello passato che era sinonimo di entusiasmo.

“Rispetto a quello attuale faceva la differenza quello spirito di gruppo, ma soprattutto l’entusiasmo pioneristico del tempo. Eravamo come pionieri alla conquista di un nuovo territorio. C’era stadi pieni, voglia di fare, ci siamo davvero inventati di tutto oltre ogni limite e soprattutto c’erano grossi personaggi. Come dirigenti Beneck su tutti. Aveva una formidabile capacità di coinvolgimento, ma come era bravo a coinvolgere, se qualcuno scriveva solo mezzo aggettivo sbagliato alzava il telefono e da amico diventavi nemico. Per i giocatori un nome su tutti: Castelli, poi tanti ragazzi usciti dal Club Italia con grandi qualità e carisma, inoltre c’erano grandi piazze come Bologna, Parma, Grosseto, Rimini e Nettuno”.

Proprio noi del Bar, legati indissolubilmente  a Nettuno gli abbiamo chiesto qualche ricordo dell’epoca della cittadina tirrenica.

“La prima volta che andai a Nettuno non la ricordo precisamente, però mi colpì l’entusiasmo della gente, in piazza si respirava e parlava di baseball, lo stadio era pieno al,meno a un’ora del playball, in più la prima gara a cui ho assistito nel dugout in vita mia fu Nettuno-Rimini, partita tiratissima decisa alla fine, mai capitato di vivere baseball così”.

L’avventura nel baseball di Di Gesù non si esaurisce a TuttoBaseball, ma è stato addetto stampa sia nell’era Beneck che in quella Notari, oltre ad aver lavorato per 10 anni nell’ufficio stampa Ibaf.

“Il segreto di TuttoBaseball era la passione mia di Giorgio e di tutti coloro che hanno collaborato. Il nostro era un settimanale che usciva il martedì con tutti i tabellini della Serie Nazionale, le foto dai campi che all’epoca erano da stampare, per fare un lavoro del genere non c’era spinta economica che tenesse, ma soprattutto l’amore per questo sport. Il giornale c’è stato fino al 2004, poi con l’avvento di internet e le notizie in tempo reale tutto è scemato. Ho iniziato a collaborare con l’ufficio stampa della Fibs per la prima volta nei mondiali italiani, il capo era Petrucci ed io mi occupavo di Bologna con Argentieri a Rimini. Ho fatto tutta la presidenza Beneck, poi ripreso con Notari e dopo di lui sono arrivato all’Ibaf”.

 

Tutto questo l’ha portato ad essere inserito nell’Hall of Fame del baseball italiano.

“Ovviamente fa tanto piacere. Dà un senso a tutto il lavoro fatto, una soddisfazione di fine carriera”.

Un baseball che segue ancora ma in maniera più distaccata rispetto al passato.

“Mi informo sempre tramite internet di quanto succede in Italia e nel baseball MLB, ma la situazione attuale con situazioni come quella di Nettuno o Rimini mi lasciano l’amaro in bocca per chi come me ha donato anima e spinto la carretta”.

In chiusura Di Gesù ci lascia con due spettacolari aneddoti con un grande del baseball professionistico come Tom La Sorda, di chiare origine italiane come evidenzia il cognome.

“La prima volta venne nel 1984 e mi chiese di accompagnarlo in Abruzzo perchè suo padre era originario di Tollo, in provincia di Chieti. Mentre eravamo in macchina mi chiesi di fermarmi appena entrato nella regione. Appena per strada vidi il cartello mi fermai e lui si inginocchiò a terra e baciò la terra. Mi disse che gli era stato chiesto dal papà prima di morire e lui gliel’aveva promesso, abbracciare la terra natia del genitore. Sempre con lui a Dodger Town, appena mi vide iniziò a parlare dell’Abruzzo. Eravamo a pranzo e chiamò vicino a noi Dusty Baker, grande giocatore dell’epoca e poi famoso manager. Gli chiese, ovviamente in americano, di dove fosse e Dusty gli rispose: “sono abruzzese”. Sintomo di quanto fosse legato alla sua terra”.