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Simone Albanese: “Un viaggio bellissimo. Forse questo lo scudetto più emozionante”

24 Ago , 2021  

di Emanuele Tinari

Una notizia fresca, freschissima, comunicata ufficialmente alla squadra nel corso dei festeggiamenti di domenica sera. Simone Albanese, lascia il baseball giocato, dopo lo scudetto vinto mercoledì davanti ai propri tifosi, e per il catcher e capitano del San Marino c’è ancora emozione.

“A prescindere dal risultato finale delle Italian Baseball Series, avevo già parlato con mia moglie su cosa avrei dovuto fare a fine stagione, ho avuto un confronto anche con amici e compagni, e seppur non a cuor leggero ho preso la decisione di smettere. Non è stato facile, è molto doloroso, ho giocato una vita, ma in questo momento è più importante passare del tempo con i bambini e la famiglia. Parlando di famiglia non posso non ringraziare proprio mia moglie. Una costante nella mia carriera che mi ha sopportato per 16 anni. Allenamenti, trasferte, vittorie, sconfitte, senza farmelo mai pesare. Ora passerò del tempo fuori dal baseball, poi nel futuro vedremo cosa uscirà fuori”.

Una grande carriera finita con il sigillo dello scudetto, il quinto per lui e i due cavalli di ritorno Tiago da Silva e Doriano Bindi.

“Tiago è sempre importante, a prescindere da come gioca. La sua presenza dà alla squadra una sicurezza diversa, sapevamo che gara 4 sarebbe stata la sua partita e l’affronti già in partenza con un altro spirito. Comunque nella gara dell’italiano eravamo abituati bene perché l’anno scorso c’era Maestri. Per quanto riguarda Doriano, lui è un collante impressionante. Incredibile quanto quest’uomo porti serenità nel gruppo, la sua è una capacità innata. Al di là delle scelte manageriali, fa sentire tutti a loro agio, sa dare fiducia alla squadra e questo fa rendere tutti meglio”.

Una finale iniziata non al meglio per Albanese, ma chiusa con la straordinaria prestazione di gara 4, con il singolo del sorpasso al sesto che ha cambiato le sorti del match.

“Ero partito in condizione fisiche non perfette per un problemino al ginocchio, ma con il lavoro del fisioterapista ho recuperato e mi sentivo bene. All’inizio sono stati decisivi gli episodi, non si sono mai avvicinati alla zona di strike contro di me, sempre palle basse, bravi loro a rubarmi le basi sfruttando bene i momenti del match ed in quel momento mi sono concentrato a fare ciò che poteva essere utile alla squadra. Dare una mano al compagno, chiamare bene la partita. Poi c’è stato il momento del singolo di gara 4. Sapevo che bisognava fare qualcosa per invertire l’inerzia. Loro avevano appena pareggiato e tornare avanti avrebbe cambiato il momentum del match. Sono andato lì nel box, ho dato tutto me stesso ed è andata molto bene”.

Come accade quando finisce una carriera così ricca, nella mente si fa un rewind e si ripercorre tutto ciò che è stato.

“In questi giorni ho pensato spesso a cosa è successo nel corso della mia carriera e posso dire sicuramente che è stato un viaggio bellissimo. Sono affiorati soprattutto i ricordi felici, in uno sport in cui c’è bisogno comunque di tanti sacrifici. Da quando ho iniziato con mio zio (Fernando Ricci ndr) che mi ha insegnato davvero tanto, all’esperienza negli Stati Uniti quando ero un adolescente, fino all’Accademia di Livorno, un’avventura condivisa con altre 10 persone fino alla prima Coppa Campioni vinta con il San Marino a 20 anni. Doriano ha subito avuto fiducia in me, mi ha lanciato e buttato dentro in una finale. Poi gli scudetto, ognuno ha una storia a sé, una sua peculiarità, momenti indimenticabili vissuti in fase di vita diverse. Il primo titolo ti proietta versa il futuro, ti sprona a far sempre meglio, i tre consecutivi tra il 2011 e il 2013 sono stati vissuti da un gruppo che era diventata una famiglia, poi c’è stato questo, forse il più emozionante, perché arrivato in questo momento della carriera, in cui non pensavo solamente a far bene come Simone, ma a dare un consiglio, ad aiutare gli altri a non sbagliare e proprio per questo è quello vissuto con il sentimento più forte”.

Tra tante vittorie anche una partita da rigiocare “in una Coppa Campioni persa contro il Bologna quando la valida decisiva di Aguila spinse a casa Nosti, lì negli ultimi due inning avrei potuto fare meglio, ma anche da sconfitte del genere trai degli insegnamenti”. Oltre ad un capitolo nazionale chiuso con qualche rammarico.

“Resta un piccolo rimpianto, se posso dire così. Dopo l’Europeo vinto nel 2010 avevo parlato con Mazzieri, avrei continuato in nazionale ma c’è stata qualche incomprensione. Nella mia vita dovevo portare avanti il baseball insieme al lavoro, mentre la mentalità di Marco prediligeva chi poteva dedicarsi esclusivamente al baseball, ma per me non era una strada percorribile.”.

Come al solito, una classifica dei suoi migliori compagni.

“Sul monte, anche per il tipo di rapporto, scelgo Cubillan, con lui ho vissuto le prime conferme, in partite vere, avanti di un punto al nono. Come ricevitore mi ci metto io, in prima scelgo De Biase, in seconda Francesco Imperiali al 100%, in terza Ferrini e Pantaleoni, uno di quelli che mi ha dato di più in campo e fuori, mentre come interbase Epifano. Mai visto uno giocare con questa naturalezza, Epi è uno spettacolo. Per la linea degli esterni a sinistra metto Vazquez, un giocatore intelligente come pochi, al centro Duran e Celli, uno dei migliori prodotti del baseball italiano di sempre e a destra Claudio Liverziani. DH Mattia Reginato e Jairo Ramos, uno di quelli che ti fa vedere il baseball in maniera diversa, ti spingono ad osservare cose a cui prima non avresti fatto caso. Mentre il lanciatore che negli anni mi ha messo più in difficoltà è Raul Rivero, sapevo cosa tirava, mi mettevo molto dietro, ma ciò nonostante non era facile”.