Viaggio a L’Avana I fantasmi del baseball un diario di Ignazio Gori

Racconti

Viaggio a L’Avana – I fantasmi del baseball (Parte prima)

2 Mag , 2022  

 

un diario di Ignazio Gori

(15 marzo – 4 aprile 2022)

 

Gettate pure il mio cuore in un bicchiere di rhum.

(Leo Longanesi) 

 

La coda dell’inverno tropicale riscalda il barrio del Vedado, mitizzato, tra sogno e realtà, da Guillermo Cabrera Infante nello splendido libro La ninfa incostante. Nonostante il caldo, che mi provoca sudorazioni da cavallo, spengo l’aria condizionata dell’hotel; non vorrei che mi si bloccasse la schiena come un povero reporter uscito da un noir in bianco e nero degli anni ’40, perso sulle tracce di qualche fantasma del passato (“siempre la misma película, hombre!”). Perché in realtà è proprio di fantasmi che sono a caccia qui a L’Avana e quale posto migliore della monumentale Necropolis “Cristobal Colòn” per cercarne qualcuno? 

Al Vedado non c’è una casa che assomiglia all’altra. Puoi trovare villette coloniali ispaniche, castelletti tirolesi, chalet, porticati in legno marcito, palazzotti neoromanici con colonne sbrecciate a sorreggere carcasse di case annerite o ancora residui di enormi edifici in stile sovietico che sembrano rinoceronti abbattuti in un safari surrealista … tutto incastrato in viali alberati e giardinetti rigogliosi dove regna una adorabile confusione da bazar. 

Alla Necropolis i pappagalli frullano a migliaia tra gli alberi di nespole. Sotto un sole ruggente, mi fermo a chiedere informazioni a tutti gli inservienti che incontro.  Alla fine, nel settore dedicato agli eroi nazionali, riesco a trovare quello che cercavo, il monumento voluto nel 1942 dall’Associazione Cristiana del Baseball, dedicato ai mitici peloteri del passato, quando la pelota era avventura e poesia: parliamo di Antonio Maria de Cardenas, Jesùs Manuel Jenks Lovio, Andres Ayòn Brown,

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ma soprattutto il leggendario Cristobal Torriente, una delle più fulgide leggende – parola di Martin El Immortal Dihigo – della storia del baseball cubano, soprannominato “el Bambino cubano, il Babe Ruth della Grande Isla, vissuto tra il 1893 e il 1938 ed inserito nella Hall of Fame di Cooperstown, agli onori dei posteri.  

Torriente, le cui gesta eroiche nelle varie Ligas Negras si perdono nel tempo, meriterebbe davvero un documentario sullo stile di Wim Wenders, che tanto ama Cuba, o di Martin Scorsese, due registi che al mondo culturale black hanno dedicato lavori bellissimi.   

Mi siedo sulla lapide rovente del monumento funebre, sovrastato dalla statua di un giocatore, un jardinero (Esterno), che fiero sembra scrutare l’orizzonte, in attesa di un homerun da rubare al cielo. Stremato dal caldo – credevo di vedere degli aironi d’oro volteggiare nell’aria – e catturato dai fantasmi del passato evocati da questo luogo così suggestivo, come in trance ho scritto di getto una poesia dedicata a Cristobal Torriente:  

Su negri diamanti polverosi

rumba ancora il tuo bolero

di mulatte, di gardenie, 

che illudono ogni jardinero.  

In te non cala quest’ansia 

di abbandono e ancora

un goccio ruberemo 

stasera al gordo santero.  

 

È proprio così, i fantasmi del baseball sono ancora qui, ci invitano a bere rhum alle dieci del mattino e tenerci incatenati al mondo dei sogni, dove i morti sussurrano ancora le canzoni di Bola de Nieve. I fantasmi del baseball li vedi negli occhi acuminati e arrossati dei vecchi, magri come giunchi, che si stordiscono di tabacco negli androni delle loro barocche alcove, nei bar improvvisati in baracchini di lamiere, ai bordi delle strade. 

È dura resistere a questi fantasmi, ancor più di notte, quando solo Dos Gardenias, cantata da Ibrahim Ferrer, sembra condurti, piano piano, in un sonno soave.  

 

Al Barrio Chino, il quartiere cinese, incastrato nel cuore della città vecchia, il fantasma di Bola de Nieve può apparire all’improvviso per riderti in faccia sguaiato e poi sparire più triste di prima, sospirando adios felicidad, come un’ombra zuccherosa. Tutti qui hanno una maschera, anche se le gradazioni della malinconia si fondono con un calore inestirpabile dal cuore dei cubani. Il cambio della valuta nazionale varia come i volti dei vecchi attorcigliati ai balconi o gettati a terra sotto i portici fatiscenti lungo l’Avenida Simòn Bolìvar. Un rigattiere mi consiglia di giocare il 18 e il 74 sulla ruota del lotto clandestino di Miami. Potrebbero portarmi fortuna. Dice che questi sono due numeri magici, fu infatti nel 18-74 che si giocò a Cuba la prima partita ufficiale di pelota tra una selezione de L’Avana e una di Matanzas.  

Gli prometto che l’avrei fatto e il rigattiere indica, a conferma della mia parola, la statuetta di San Lazaro che teneva in un angolo del suo bugigattolo. Devo andarci al santuario del Rincòn, magari il santo, molto amato qui nell’isola, potrà aiutarmi a liberarmi dei miei fantasmi animaleschi. 

 

Nel parco “Mariana Grajales” i ragazzini giocano a Baseball5, dimostrando quanto ormai questa variante sia diffusa nel paese. I colibrì fanno capolino da grossi fiori vermigli e le panchine sono rigorosamente sempre tutte occupate: il popolo delle panchine, direbbe Beppe Sebaste. 

Ogni mattina – quando escono, perché qui la carta scarseggia ed è preziosa – leggo i quotidiani Granma e soprattutto Juventud Rebelde, dove Norland Rosendo Gonzales, che ho intervistato tempo fa, scrive di baseball con l’eleganza e l’essenzialità di un pittore naturalista.  L’edicolante che mi fornisce i giornali è un fanatico della pelota e il suo idolo è Antonio Pacheco. Nel suo chiosco sono in vendita per pochissimi pesos le biografie di Omar El Niño Linares e di Antonio Muñoz, detto El Gigante del Escambray – “pelotero tremendo!dice il giornalaio – il primo giocatore a raggiungere la quota di 200 fuoricampo nella storia della Serie Nacional. Sfogliando il libro mi compiaccio nel vedere che l’introduzione è a firma del Presidente della WBSC, nonché grande amico del Bar del Baseball, Riccardo Fraccari.  Il simpatico giornalaio insiste nel volermi regalare il libro su Muñoz, dicendo che chiunque ami la pelota è come se fosse suo fratello. Solo a Cuba e in Giappone potrai sentire una cosa del genere (con la differenza che in Giappone i libri non te li regalerebbero!).    

 

Nella tarda mattinata, quando il sole inizia a bruciare sulle strade, si sente passare il triste carrettino delle granite, il carillon suona a ripetizione Fra Martino campanaro e mi sveglia dolcemente. 

Era stata una serata dolce come marmellata di guayaba (Frutto tropicale molto diffuso a Cuba. ). Al Parque de los Màrtires incrocio il sorriso di una giovane morena e senza nemmeno accorgercene ci ritroviamo a baciarci nel vento del Malecòn. Si chiama Gardenita ed è di Camaguey. Mi confessa che sua nonna faceva le pulizie a casa del grande poeta Nicolas Guillén, anche lui camaguayano; per un innamorato della poesia come me questi particolari possono incendiarmi. 

Gardenita è una mulatta di una bellezza abbagliante. Ha un sorriso solare e largo che mi ricorda quello di Nat King Cole e anche se qui amano ripetere che la nostalgia non è mai un buon termometro per saggiare la qualità di un sentimento, so già che di lei avrò una tremenda nostalgia quando queste calde stelle mi sapranno lontano. 

 

Attualmente gli Industriales sono fuori dalla zona playoffs, ma le dieci gare consecutive previste in casa – tre contro Las Tunas, due contro Camaguey, tre contro Santiago e due contro Guantanamo –  potrebbero essere importanti per risalire la classifica visto che le prime quattro sono praticamente in parità.   

Lo stadio Latinoamericano è uno dei templi del beisbòl mundial. Una nuvola azzurra di cemento, ancorata nello stomaco del Cerro, un quartiere molto povero, di casupole, baracche, palazzine incartapecorite … ma è l’anima vibrante della città. Gli spalti puzzano di noccioline tostate, di negro sudore, di rancido, un’arena che nel corso del tempo ha ospitato gli eroi della pelota cubana secondo il motto: libres, firmes, unidos y dignos, liberi, decisi, uniti e orgogliosi, aggettivi incisi sugli striscioni, in alto, in modo che tutti possono sempre leggerli e rispecchiarsi in quei valori patriottici. Il biglietto di ingresso di 5 pesos è puramente simbolico, il baseball è lo sport del popolo, e tutti devono poter venire allo stadio, d’altronde qui la pelota è un argomento culturale che tiene viva la memoria collettiva. Non è un caso che il 19 ottobre del 2021 – data storica per la Nazione – questo sport sia stato dichiarato ufficialmente “Cultural Heritage of the Nation, eredità culturale nazionale, un segno distintivo attraverso il quale studiare e capire meglio la cultura e la storia dell’isola.

Tornando alla partita, gli Industriales vincono 3-0 grazie a due jonrones (fuoricampo) battuti al terzo inning che hanno fatto sussultare i tifosi dei Leones giunti nel torrido pomeriggio a sostenere la squadra di Guillermo Carmona. Buona prova del monte di lancio che ha tenuto a zero l’attacco dei Leñadores di Las Tunas, la squadra dell’intramontabile Danel Castro, che a quarantacinque anni sa ancora essere incisivo come battitore designato.  

Tornando a piedi in hotel, attraverso le dissestate stradine del Cerro, verso Plaza de la Revoluciòn, da una baracca di lamiere sento provenire le note di Carmela di Sergio Bruni, che era la canzone preferita di Diego Armando Maradona, un altro illustre ospite di Cuba. È proprio vero che L’Avana è come Napoli, stessa anima popolare, sublimata di nostalgia. 

 

Per la seconda gara della serie contro Las Tunas, mi ritrovo nella fossa della marea azul, i supporters sfegatati degli Industriales. Ma nonostante i continui incitamenti del pubblico, Andresito! Andresito! Andresito! rivolti affettuosamente al potente slugger terzabase Andrés Hernàndez, la partita è decisa da ben tre fuoricampo di Rafael Viñales –  visto anche a Parma nel 2019 – che sigla la vittoria di Las Tunas per 10 a 6. Complici non poco i due gravi errori di Yasiel Santoya, primabase degli Industriales e le 17 valide, davvero troppe, concesse dal monte. Troppo discontinuo il partente Pavel Hernàndez. 

I tifosi si sono particolarmente inferociti quando, con seconda e terza occupate, lo staff tecnico ha deciso di regalare una base intenzionale a un battitore avversario mediocre. Il successivo doppio a basi piene ha portato due carreras impulsadas (Rbi) che hanno spezzato la partita. 

Il mio vicino di posto, un vecchietto con un cappellino consumato dal sole, mi spiega che la base intenzionale è da sempre una decisione tecnica contraria al vero spirito del gioco cubano: “Nemmeno se alla battuta ci fosse Omar Linares!” dice il vecchio, digrignando i denti anneriti dai sigari. Difronte a certe scelte i più nostalgici del passato si offendono e insultano il manager. Ma d’altronde molte cose sono cambiate e stanno cambiando a Cuba, non solo la filosofia di gioco, l’approccio alla vita e alla speranza. 

I giovani soprattutto sono cambiati. 

Ormai si vestono come i rapper alla moda e tutti sognano di fuggire da Cuba. Quasi non si nota la differenza tra un ragazzo afroamericano di Nueva York, un indio di Città del Messico e un giovane guajiro venuto a L’Avana a cercar fortuna: hanno tutti Marc Anthony nelle orecchie, vogliono gli smartphone e ambiscono a effimeri sogni di ricchezza. Cercano disperatamente di racimolare tremila dollari per tentare un tour de force che passerebbe per il pericoloso Guatemala – terra del compianto Carlo “Cabrito” Guzman – fino al Messico, sperando di oltrepassare il Rio Bravo. 

Tutto sta cambiando, hermano …bofonchia il vecchio, la cui malinconia si mescola a quella di tutti gli altri tifosi biancoazzurri che sfilano fuori dal Latinoamericano, lasciando il solo Armandito “el Tintoreroa urlare silenzioso verso il campo nella sua armatura di bronzo.  

 

A proposito, chi è Armandito “el Tintorero”

Semplicemente uno di quei personaggi che ti fanno innamorare del baseball. 

Armando Luis Torres Torres, havanero puro, nato nel 1939 e dipartito nel 2004, è stato il più famoso tifoso degli Industriales. Rimasto orfano molto piccolo ha trascorso l’infanzia in un istituto dove fomentò un temperamento focoso. Viene ricordato per la sua scarsa vista che lo costringeva a indossare due occhiali doppi come fondi di bottiglia. La sua voce tonante sovrastava il tifo già acceso della marea azul e arrivava fino al campo, risultando un incubo per i giocatori ospiti, specialmente per il terzabase, quello più vicino al settore della tifoseria di casa. 

Le leggende metropolitane su di lui si sprecano.

Era già un accanito tifoso di più squadre della capitale – ora ce n’è solo una ma nel corso dei decenni ce ne sono state diverse – quando nel 1968 si narra che il mitico comandante Oscar Fernández Mell – rivoluzionario amico del Che, nonché medico e politico – lo invitò a focalizzarsi sugli Industriales, la squadra principale della città; il calore di Armandito non poteva che aiutare i beniamini di casa e fu così che divenne il tifoso numero uno dei Leones. Iniziarono a chiamarlo “el Tintoreronel 1970, quando prese lavoro presso una nota tintoria.  

La sua spiccata sagacia e simpatia, da autentico showman, lo hanno reso popolarissimo, tanto che nel 2003, durante la 35° edizione della Coppa del Mondo tenutasi a L’Avana (Oro a Cuba, argento a Panama, bronzo al Giappone. Italia male, 1 vinta 5 perse), il presidente della Federazione Internazionale di Baseball, Aldo Notari, gli consegnò una targa commemorativa creata in Italia appositamente per lui e sul sedile, dove sedeva immancabilmente da cinquant’anni, fu posta una statua in bronzo che lo immortala in un urlo portentoso verso il diamante che tanto amava.

Viaggio a L’Avana I fantasmi del baseball un diario di Ignazio Gori

Armandito, come “Il Cittadino” allo Steno Borghese di Nettuno, è un mito popolare: fantasmi di cui non ti liberi facilmente e che mantengono viva la passione di un luogo, di una intera città. 


(Fonte immagini: Archivio privato di Ignazio Gori)

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